Il nuovo Regolamento (UE) 2021/821 sui prodotti cosiddetti dual-use, il quale sostituisce il precedente Regolamento (UE) 2009/428 (che, a sua volta, aveva sostituito il Regolamento CE 1334/2000) è stato pubblicato Sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea dell’11 giugno scorso; tale regolamento disciplina il controllo sull’esportazione dei prodotti che possano essere impiegati (anche) a fini militari: appunto prodotti dual-use o a (potenziale) duplice uso. La normativa europea sui prodotti dual-use è stata emanata nell’ambito degli accordi internazionali che l’Unione Europea ha (o i paesi membri hanno), ormai già da diversi anni, sottoscritto con riferimento al controllo sulla vendita di armi (come, per esempio, il Wassenaar Arrangement).
La normativa sui prodotti dual-use prevede, in estrema sintesi, che le imprese europee che vogliano esportare al di fuori del territorio unionale dei prodotti finiti, o semilavorati, che possano avere un utilizzo militare in aggiunta a quello civile, dichiarato nei documenti fiscali o di trasporto, debbano dotarsi di una specifica autorizzazione (il sistema delle autorizzazioni è alquanto complesso, ma la descrizione di tale sistema, ovviamente, va al di là degli scopi del presente articolo): il nuovo Regolamento (UE) 2021/821 (e lo stesso valeva per i regolamenti precedenti sostituiti dal Regolamento 821) include una (lunga) lista di prodotti sottoposti al regime delle autorizzazione sulle esportazioni dual-use, con il risultato pratico che tale regime si applica non solamente ai produttori di armi (o tecnologia, comunque, utilizzata in ambito militare) ma anche a quelle imprese che esportano prodotti che, nella mente dell’individuo medio, niente hanno a che vedere con le armi o l’uso bellico.
Il nuovo Regolamento (UE) 2021/821, rispetto al precedente Regolamento (UE) 2009/428, estende notevolmente il proprio ambito di applicazione ai software (particolarmente quello impiegato nell’ambito dell’industria 4.0) e alla tecnologia. In particolare, il lungo art. 5 (costituito da ben undici commi) del nuovo Regolamento (UE) 2021/821 è interamente dedicato alle tecnologie di sorveglianza informatica (il testo inglese del Regolamento, con maggiore chiarezza, utilizza il sintagma “cyber-surveillance”), che il Regolamento stesso definisce “prodotti a duplice uso appositamente progettati per consentire la sorveglianza dissimulata di persone fisiche mediante il monitoraggio, l’estrazione, la raccolta o l’analisi di dati provenienti da sistemi di informazione e telecomunicazione”; il primo comma del citato articolo 5, stabilisce che “l’esportazione di prodotti di sorveglianza informatica non compresi negli elenchi di cui all’allegato I è subordinata ad autorizzazione nel caso in cui l’esportatore sia stato informato dall’autorità competente che detti prodotti sono o possono essere destinati, in tutto o in parte, a un uso connesso alla repressione interna e/o all’attuazione di gravi violazioni dei diritti umani o del diritto umanitario internazionale”.
Inoltre, il nuovo Regolamento (UE) 2021/821, date certe condizioni, istituzionalizza la pratica dei “programmi interni di conformità” o “ICP” (precedentemente già obbligatori in alcuni Stati membri), definiti dal Regolamento (UE) 2021/821 “politiche e procedure efficaci, adeguate e proporzionate in corso adottate dagli esportatori al fine di facilitare la conformità alle disposizioni e agli obiettivi del presente regolamento nonché ai termini e alle condizioni delle autorizzazioni attuate a norma del presente regolamento, comprese, tra l’altro, misure di dovuta diligenza per valutare i rischi connessi all’esportazione dei prodotti per gli utenti finali e gli usi finali”.
Il nuovo Regolamento (UE) 2021/821 sui prodotti dual-use costituisce sicuramente un’ulteriore tessera del mosaico di compliance con cui le imprese italiane devono confrontarsi (in aggiunta a normative come il GDPR o il d.lgs. 231/2001, etc.), anche in considerazione delle (elevate) sanzioni economiche che la violazione della normativa dual-use potrebbe comportare: un onere economico sulle spalle delle PMI (esportatrici) che il Made in Italy “industriale” non può, comunque, permettersi d’ignorare non solo per ragioni economiche (evitare le sanzioni) ma anche (e sia consentito dirlo), soprattutto, in una prospettiva di corporate social responsibility (non contribuire a, né fare business sui, conflitti armati) poiché nel 2021 non ci si può (più) presentare al mondo come faceva Alberto Sordi nel film Finché c’è guerra c’è speranza (che è del 1974).