“Per le fake news, vita molto breve”, con questo obiettivo è stato presentato “il primo articolo nella storia del giornalismo italiano ad essere certificato in blockchain” scritto da Marco Piccaluga, ex volto di Sky Tg24, ora giornalista de Il Sole24Ore, e pubblicato sulla rivista specializzata Prisma.
Per vedere e leggere l’articolo occorre inquadrare il seguente QR Code con un’app dedicata ai “codici a barre” e così si visualizza il contenuto, caricato sulla piattaforma di Lirax.org per la certificazione in base al profilo associato a Piccaluga, che ha dato a questo progetto il nome “Pic”, come le prime tre lettere del suo cognome.
(Per comodità indichiamo direttamente il link per leggere l’articolo).
Dell’interessante iniziativa ecco i pro e i contro secondo il nostro punto di vista
Non è stato Marco Piccaluga l’ideatore dell’iniziativa, lui è il primo giornalista italiano che ha scritto un articolo certificato in blockchain sfruttando la piattaforma Lirax.org, che consente a giornalisti, scrittori, fotografi, editori ed ogni altro professionista dell’informazione, di firmare Pdf, Documenti, Immagini sulla rete Blockchain. (L’alternativa, nata in Germania, è WREP – registro europeo web reporter – che, però, certifica la proprietà intellettuale dei prodotti editoriali digitali tramite tecnologia blockchain).
Cosa certificata la blockchain nel giornalismo?
Ma torniamo a Lirax che consente di associare l’identità del professionista alle informazioni, con data certa, origine e riscontro oggettivo.
Infatti, in fondo all’articolo di Piccaluga si legge:
- Il nome dell’autore e la sua email: “Signed By Marco Piccaluga (email…)
- L’hash code che identifica in maniera univoca la registrazione: TxHash 0x6a2f180ff6adfe657dbf24a6264b-
f38d875590d570eec306099d4134d7d3adeb - La data e l’ora: Wednesday, January 08,2020 09:28 AM
- E persino l’IP: 146.133.64.189.
Partiamo dall’ultimo elemento certificato, l’IP del dispositivo da cui l’articolo è stato caricato sulla piattaforma blockchain. Ma per i giornalisti che scrivono nei Paesi in cui la libertà di stampa è a rischio, come Corea del Nord, Cina, Siria e Arabia Saudita, secondo la classifica di Reporters Sans Frontières, sarebbe una spada di Damocle.
Inoltre in caso di identità falsa, IP falso-mascherato, la blockchain non è in grado di smascherarlo e lo certifica così com’è.
La piattaforma Lirax e Piccaluga sostengono che gli articoli certificati in blockchain “mettano un freno alle notizie false”. Ma la piattaforma, in realtà non combatte al 100% le fake news, ma certifica l’autore delle news, che possono essere anche fake news scritte pure da giornalisti regolarmente iscritti all’Ordine, in regola con la formazione professionale. Possono essere scritte sia in modo volontario sia in modo inconsapevole. E se in un secondo momento, il giornalista si accorge di aver commesso un errore, come scrivere una notizia falsa o inesatta, che in un primo momento sembrava accertata, non può modificare il testo, perché la piattaforma blockchain non consente di modificare e alterare il testo. Si crea un paradosso. Se nell’articolo c’è una fake news, resterà per sempre. Nonostante l’articolo 2 della legge professionale dei giornalisti impone di “rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori”.
La blockchain può essere utilizzata per certificare data e ora, ma non è autosufficiente ai processi di attendibilità dei dati di origine.
E poi come si fa a garantire il diritto all’oblio ai soggetti interessati da una notizia scritta nel passato (per esempio condanna in primo grado in un processo), ma che oggi non rispecchi più la situazione attuale (assolto in via definitiva), se l’articolo online non può essere modificato? Occorre sempre scrivere un secondo articolo per correggere gli errori presenti in un articolo online certificato in blockchain. E chiedere a Google di non indicizzare più l’articolo con la notizia non più aderente alla situazione processuale attuale di una persona.
“Alle notizie si può assegnare un bollino di garanzia, un sigillo che indichi chiaramente che quel contenuto è certificato”, scrive Marco Piccaluga nel presentare i vantaggi dell’iniziativa. Ma la piattaforma blockchain non certifica il contenuto, ma il documento scritto da, quando, a che ora, da dove e da quale indirizzo IP è stato caricato.
“Questa operazione metterà le fake news fuori gioco, senza più bisogno di perdere tempo a dimostrare che si tratta di bufale”, aggiunge entusiasta Piccaluga nell’articolo, ma poi scrive: “Certificare una notizia è impossibile”.
Così propone la “sua” soluzione per certificare video contro i deep fake (ottima soluzione) e foto, infatti il New York Times utilizza da agosto scorso la blockchain per il fotogiornalismo contro le fake news.
Con ‘The News Provenance Project’ il giornale sta creando un sistema per l’archiviazione e la condivisione di metadati contestuali sulle foto utilizzando Hyperledger Fabric, un framework blockchain. In questo modo gli utenti sapranno sempre da chi, quando e dove la foto è stata scattata e se poi è stata modificata per veicolare fake news.
Invece Civil, è anche la piattaforma blockchain per il giornalismo di qualità.
Infine Piccaluga scrive: “Chi cerca una notizia deve sapere con esattezza chi gliela sta dando, quando l’ha scritta, per chi lavora. Deve sapere se quella persona è un giornalista, cioè un professionista soggetto alla legge e alla deontologia; controllato da un Ordine che ne garantisce il rispetto, pena la sanzione; se è in regola con la formazione professionale; se ha subito sanzioni. O se invece è un pinco pallino qualsiasi, un creatore di fake news o magari un bot con sede in Cina”.
Paradossalmente in fondo all’articolo di Piccaluga presente su Lirax non si legge che l’autore è iscritto all’Ordine dei giornalisti. La piattaforma non lo specifica, perché è requisito principale per creare il profilo del giornalista, ma è una procedura che rallenta l’attività di verifica del lettore sull’autore dell’articolo.
Per sapere in Italia, in modo immediato e semplice, se un giornalista è iscritto regolarmente all’Ordine non serve la blockchain, basta andare sul sito dell’Ordine giornalisti nella sezione elenco degli iscritti, da cui si può leggere quello che conta: se è un giornalista iscritto. A cosa serve al lettore sapere se il giornalista è in regola con la formazione professionale o se ha subìto sanzioni?
La nostra analisi dimostra che la blockchain non è la soluzione per salvare il giornalismo, perché troppo rigida. Solo i giornalisti possono salvare il giornalismo.