Internet of Things

‘Il presente e il futuro delle comunicazioni M2M’. Intervento di Sergio Boccadutri (Pd)

di Sergio Boccadutri, Coordinatore Area Innovazione del Pd |

L'intervento di Sergio Boccadutri, responsabile Innovazione del Pd, in occasione del seminario della FUB 'Comunicazioni Machine-to-Machine. Le necessarie sinergie istituzionali' che si è tenuto il 25 marzo all'Università LUISS Guido Carli.

Pubblichiamo l’intervento di Sergio Boccadutri, coordinatore area innovazione PD, in occasione del seminario della FUB ‘Comunicazioni Machine-to-Machine. Le ncessarie sinergie istituzionali’ che si è tenuto il 25 marzo all’Università LUISS Guido Carli.

Il presente e il futuro dell’Internet delle Cose sono  temi molto delicati, che aprono fronte che  pone problemi non solo  tecnologici, ma soprattutto regolatori, logistici, giuridici, culturali di portata inedita.

Scelte che cadono  a poche ore dall’ approvazione dell’indagine conoscitiva promossa dall’AGCOM proprio sul futuro del Machine-to-Machine.

Una decisione questa dell’Autorità, pervenuta a valle di un’ articolata consultazione pubblica nel corso della quale si è registrata anche la partecipazione di un’altra Autorità regolatoria, quella dell’Energia. Una circostanza irrituale, si potrebbe osservare.

Al contrario, essa testimonia invece l’esigenza di una trasversalità di competenze, una ricerca di soluzioni condivise, che può essere raggiunta proprio dalla cooperazione tra autorità regolatorie, abituate ad operare verticalmente sulle aree di propria competenza, e la presenza qui, oggi, di tre importanti Autorità testimonia questa esigenza e questo nuovo approccio di cui abbiamo bisogno.

L’Internet delle Cose cambia tutto

 

Elettrodomestici che comunicano tra loro, contatori elettronici che aggiornano in tempo reale il fabbisogno energetico di casa, auto iperconesse, che trasmettono e registrano i flussi del traffico, SIM sempre più ‘embedded’, presenti in tutti gli oggetti che ci circondano. Per non parlare di nuovi mercati nascenti, come quello dei robot e dei droni o della complessità delle smart city.

L’ecosistema Machine-to-Machine (M2M) comprende numerosi soggetti: a) produttori di dispositivi di comunicazione, b) operatori di rete, c) gestori di piattaforme, d) produttori di contenuti, e) fornitori di servizi.

Tutti insieme concorrono alla comunicazione di decine di oggetti intorno a noi o nella nostra casa, con una popolazione complessiva di milioni e presto miliardi di oggetti connessi tra loro.

Un mercato che oggi in Italia è stato valutato nell’ordine di oltre 1 miliardo di euro, un mercato pronto a crescere velocemente.

Dall’indagine AGCom sono emerse diverse criticità per sviluppo dei servizi M2M.

Due su tutte.

La prima di esse è che le infrastrutture oggi utilizzate per fornire i servizi M2M sono inadeguate a soddisfare le esigenze trasmissive.

La seconda è che le soluzioni tecnologiche sono estremamente frammentate e le piattaforme risultano di natura prevalentemente proprietaria. Il che ci spinge a individuare le forme di incentivazione dello sviluppo di piattaforme standardizzate e interoperabili, eventualmente anche attraverso l’intervento pubblico.

Problematiche di spettro

Alcuni vendor internazionali hanno già chiesto all’Italia quale sarà la politica spettrale per rispondere alla domanda di nuove frequenze per gestire il flusso del M2M.

L’obiettivo è standardizzare i protocolli tecnici delle SIM e sintonizzare la capacità trasmissiva dei dispositivi sulle frequenze giuste.

Parallelamente occorrerà guardare sin da ora alle porzioni di spettro da affidare allo sviluppo del 5G, con decisioni che dipendono dalle scelte UE innanzitutto.

Privacy e identità digitale

La gestione dell’identità digitale di persone, device e oggetti connessi rappresenta in prospettiva il fattore più critico per lo sviluppo dell’Internet delle cose.

Nasce infatti un nuovo concetto, quello di identità degli oggetti, l’Identity of things (IDoT).

Abbiamo quindi un ecosistema in cui identità di diversa natura danno luogo a livelli differenziati di relazioni: relazioni fra persone, fra persone e oggetti, fra dispositivi, infine fra dispositivi da un lato e applicazioni e servizi dall’altro.

Ciò che serve per lo sviluppo del business legato allo IoT è una modalità standard di gestione dell’identità digitale di diverse entità (persone, servizi e oggetti).

I punti di criticità sono evidenti.

I dati sensibili sono al centro di un fiorente mercato nero gestito da criminali informatici senza scrupoli in grado di penetrare le difese più sofisticate:  occhiali e orologi smart, televisori intelligenti, gadgets e smart car, sono tutti esposti.

Sono dispositivi vulnerabili. e dobbiamo sapere che qualcuno facilmente può entrare in questi dispositivi e rubare o manomettere le nostre informazioni più delicate.

Occorre attenzione la sicurezza dei dati personali che in ogni momento inseriamo in questi smart objects (come anche in rete e sul web), attenzione che deve crescere nel cittadino consumatore, ma anche nel settore industriale,

Cosa cambia per le aziende?

 

Sono tanti i cambiamenti a livello industriale.

L’Internet delle Cose sta diventando il centro nevralgico delle ricerche e degli investimenti in innovazione ed è per questo destinata a cambiare il modo in cui le aziende creano prodotti ed esperienze per i loro clienti.

L’Italia, insieme alla Spagna, alla Russia, all’India e al Brasile, è tra i Paesi che rischia di perdere le importanti opportunità economiche legate all’internet delle cose industriale (IIOT), che pure potrebbe valere l’1,1% del nostro PIL.

È quanto emerge da uno studio presentato due mesi fa al World Economic Forum di Davos dedicato alle applicazioni del cosiddetto Industrial Internet of Things.

In Italia– mancano ancora infrastrutture, competenze e le basi istituzionali necessarie per l’adozione diffusa delle nuove tecnologie dell’ Industrial Internet of Things.

Ma anche le aziende dovranno adeguarsi operativamente e culturalmente.

Devono imparare a sfruttare il valore dei data – si parla tanto di big data, ma ancora pochi sono i brand in grado di passare dall’accumulo compulsivo di informazioni all’estrazione di insight strategici, nel rispetto ovviamente delle normative della privacy.

Infine dovremo tutti guardare al futuro del lavoro: l’automazione non significa certo la fine della forza lavoro. Faccio un solo esempio che si commenta da solo: negli anni ’50 la durata di un pit-stop in Formula 1 non era inferiore a 90 secondi con 3, al massimo 4 meccanici impiegati. Oggi dopo quasi settanta anni di tecnologia il pit-stop dura circa 2 secondi e i meccanici impiegati sono una ventina.

Ma anche oggi a Le Mans o nelle gare di Gran Turismo, e perdonatemi se continuo la digressione sportiva, i pit-stop sono fatti tranquillamente da 4 persone che cambiano le gomme e fanno rifornimento, perché allora nella Formula 1 arriviamo alle venti persone che ho detto? La risposta sta nei regolamenti, nei primi casi soltanto 4 persone possono toccare contemporaneamente la macchina, nel secondo caso non esiste un limite. Così i team di F1 impiegano un numero tale di persone in modo che ciascuno effettui una sola operazione. L’esempio, traslato fuori dalle corse sportive, ci dice almeno due cose, che maggiore tecnologia si traduce spesso in maggiore specializzazione e da qui maggiore impiego di forza lavoro e che la regolazione svolge un ruolo fondamentale.

Senza considerare poi le opportunità di un maggiore coinvolgimento di dipendenti, l’engagement interno, che può essere sempre più centrale nelle strategie di marketing. Anche in questo caso potrebbero soccorrerci molti esempi di fortissima specializzazione e targetizzazione della comunicazione aziendale.

I fattori abilitanti

Per cogliere il massimo vantaggio da queste nuove tecnologie, occorre migliorare i ‘fattori abilitanti’: ossia le competenze umane e le reti a banda larga.

Il varo alcuni giorni fa da parte del governo della Strategia sullo sviluppo delle reti a banda ultralarga è un passo fondamentale, che non riguarda solo l’IoT ma l’economia del nostro paese.

Parallelamente la carenza di competenze digitali, un problema comune all’intera Europa, deve portarci a rinsaldare le relazioni organiche tra università e centri di ricerca da un lato e mondo della produzione dall’altro, comprendendo che quest’ultimo è sottoposto a processi veloci di cambiamento e di ristrutturazione che possono essere affrontati meglio proprio considerando il contributo che le nuove competenze possono dare ai processi di cambiamento strutturali del sistema della produzione e dei servizi.

Serve un nuovo modo di guardare allo sviluppo digitale

L’Internet delle cose con la sua moltitudine di comunicazioni pone nuovi e significativi problemi al Legislatore e al Regolatore, legati alla evoluzione del significato di privacy, di identità, di sicurezza, di responsabilità personale.

Questa trasformazione genererà inoltre un’incredibile ammontare di dati, che le aziende e le Amministrazioni Pubbliche non sono ancora preparate a gestire.

Il futuro delle reti e l’avvento dell’Internet delle cose impone la necessità di rimanere agganciati allo sviluppo mondiale dell’economia digitale.

Forse se a livello europeo Machine-to-Machine, Internet of Things e 5G non sono ancora visti pienamente come incombenti sul futuro della banda larga, del wireless e del digitale, anche in Italia M2M e 5G restano ancora temi non sufficientemente valutati.

Il ruolo della politica e dei decisori sull’internet delle cose

Naturalmente anche la politica deve fare la sua parte.

Vi sono decisioni di sviluppo industriale che rientrano tra le prerogative del governo e su questo occorre il concorso di tutti per rappresentare le esigenze di ciascun stakeholder proprio per porre la politica, per quanto di sua competenza, in condizione di poter decidere adottando le soluzioni migliori per le esigenze del Paese, per la creazione di nuovo valore, per far affermare in Italia l’economia digitale che non è più una specializzazione settoriale dell’incontro tra domanda e offerta, ma l’intero sistema delle attività produttive e delle transazioni commerciali ed economiche di tutti i Paesi del mondo, indipendentemente dalle loro condizioni di sviluppo.

L’Italia ha caratteristiche particolari che le consentirebbero di effettuare un grande balzo in avanti.

E’ ciò a cui dobbiamo puntare, attraverso un confronto pieno tra decisori politici, autorità regolatorie, imprese e consumatori, che ci porti verso le scelte più ampie e condivise e a un tempo più efficaci e a prova di futuro.

Da oggi il nostro confronto dovrà estendersi anche al resto del Paese, sapendo che vi saranno anche forze resistenti al cambiamento.

Se permetteremo a queste forze di continuare a proteggere – localmente – i propri interessi, il nostro Paese verrà – su scala globale – marginalizzato e in ogni caso trasformato in chiave digitale dall’esterno, con un ulteriore radicale spostamento e concentrazione di ricchezza fuori dai confini nazionali.

Parta da questo importante appuntamento odierno una “call for action” dell’internet delle cose italiano.

 

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