Non era successo ancora che un tribunale stabilisse di quanto una multinazionale dovesse ridurre il proprio impatto ambientale ed entro quando. Ci ha pensato un tribunale dell’Aia, che ha riconosciuto la Shell responsabile dei danni legati all’inquinamento, a cui il colosso energetico contribuisce da tempo.
Sentenza storica contro Shell
Nel verdetto è stato ordinato alla Royal Dutch Shell di tagliare del 45% le proprie emissioni inquinanti e di farlo entro il 2030.
Un processo di cui in Olanda si è parlato a lungo, tanto da passare alla storia con lo slogan “Il popolo contro Shell”, portato avanti con decisione da diverse organizzazioni e associazioni di settore, come Friends of the Earth Netherlands (Milieudefensie), Greenpeace Netherlands, ActionAid, Both ENDS, Fossielvrij NL, Jongeren Milieu Actief, il Waddenvereniging e il supporto di oltre 17.000 cittadini.
“Si tratta di una vittoria storica per il clima e per tutti coloro che affrontano le conseguenze della crisi climatica. Una battaglia il cui merito va a Milieudefensie e a tutte le altre persone che hanno portato avanti questa causa. Shell non può continuare a violare i diritti umani e mettere il profitto al di sopra delle persone e del Pianeta. Quello di oggi è un chiaro segnale per l’industria dei combustibili fossili. Il carbone, il petrolio e il gas devono rimanere dove sono, sottoterra”, ha scritto Greenpeace Italia sul suo sito.
Basta “greenwashing“
La multinazionale dell’energia ha risposto in un comunicato ufficiale che ha già annunciato da parte sua, a inizio anno, l’intenzione di voler ridurre la propria impronta di carbonio del 20% entro il 2030 e del 45% entro il 2035 (il 100% in teoria entro il 2050), cosa che le ha permesso di rispondere subito di essere già impegnata totalmente nella faccenda ambientale e che nessuno può imporre questo come un obbligo, in quanto ci devono pensare i Governi e i singoli Stati ai piani di decarbonizzazione.
Una tesi ribaltata proprio con questo verdetto storico. Il fatto che non sia solo la Shell l’unica responsabile e l’unica a dover agire, non la deresponsabilizza dagli impegni legati agli obiettivi climatici della COP25 e soprattutto non la assolve dal suo compito storico: ridurre le emissioni inquinanti di sua competenza.
È vero che la Shell e le altre grandi compagnie energetiche globali, tra cui ExxonMobil, Eni, BP o Total, troppo spesso fanno annunci sensazionali in termini di decarbonizzazione, neutralità climatica ed impiego di energia pulita, per poi fare poco o niente rispetto agli obiettivi prefissati, con l’accusa di portare avanti più propaganda green o azioni di “greenwashing” che ridurre per davvero la propria impronta ambientale.
Le altre sentenze verdi del 2021
Se sia una sentenza storica lo scopriremo nei prossimi mesi, ma intanto c’è da registrare che quest’anno, sempre in Olanda, un altro tribunale aveva condannato sempre la Shell a risarcire le vittime nigeriane di un disastro ambientale avvenuto 10 anni fa.
In Gran Bretagna, invece, la Corte suprema ha sentenziato che è diritto dei cittadini nigeriani citare in giudizio nei tribunali britannici la Shell per danni ambientali e alla salute.
Un’altra multinazionale dell’energia, la ExxonMobil, infine, ha avuto a che fare con un’azione portata avanti da alcuni azionisti ambientalisti, con il risultato che per la prima volta nella storia due direttori nel consiglio d’amministrazione sono stati cacciati per essersi sempre e solo impegnati in nuovi investimenti in petrolio e gas naturale, invece che ni fonti rinnovabili (la Exxon è famosa per non aver investito un dollaro in fonti energetiche pulite).