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Il nuovo governo e l’efficienza degli investimenti pubblici

Contratto di governo e investimenti

Tra i problemi più urgenti del nuovo Governo vi è quello del rilancio della crescita. Dato il peggioramento dello scenario in seguito all’aumento del costo del petrolio e alla guerra dei dazi in atto che potrà frenare le nostre esportazioni, le previsioni per il 2018 sul pil sono state corrette dalla Banca d’Italia al ribasso. Dall’1,4% all’1,3% quest’anno, dall’1,2 all’1% nel 2019. Con queste prospettive, la strada del rilancio economico nel nostro paese è del tutto in salita soprattutto se si tiene anche conto dell’obiettivo indicato nel “contratto di governo” di ridurre il debito pubblico “non già per mezzo di ricette basate su tasse e austerità, politiche che si sono rivelate errate ad ottenere tale obiettivo, bensì per il tramite della crescita del Pil”. Ma bisogna prendere atto che con aumenti così contenuti del Pil è irrealistico ipotizzare una riduzione del rapporto debito pubblico/pil senza dover agire sulla riduzione del numeratore.

In realtà, il contratto di governo prevede di promuovere la crescita “con un rilancio sia della domanda interna dal lato degli investimenti ad alto moltiplicatore e delle politiche di sostengo del potere di acquisto delle famiglie, sia della domanda estera, creando condizioni favorevoli alle esportazioni”. Ma se le esportazioni potranno subire un freno, diventa essenziale puntare sulla domanda interna. Allora bisogna porsi un doppio quesito: quali sono gli investimenti ad alto moltiplicatore e come finanziarli. Sul primo ritorniamo fra poco perché esso è il tema su cui vogliamo soffermarci; sul secondo si può dire che la strada ipotizzata di rivedere il Fiscal compact è irta di incertezza. In effetti, la soluzione indicata dal contratto di governo è quella di “scorporare la spesa per investimenti pubblici dal deficit corrente in bilancio”. Indubbiamente si tratta di un provvedimento auspicabile per contrastare l’austerity, ma va ricordato che esso, pur richiamato più volte dalla Commissione europea, è risultato finora lettera morta. Il Governo, per portare a casa questo risultato, deve dimostrare in modo convincente che il programma di investimenti pubblici da finanziare con nuovo debito potrà avere un effetto positivo e significativo sul reddito. Ed è appunto su tale questione che intendiamo richiamare l’attenzione soprattutto a proposito dei criteri di scelta e valutazione degli investimenti infrastrutturali prioritari.

E’ opportuno ricordare che investimenti pubblici finanziati con nuovo debito senza far aumentare il rapporto debito pubblico/pil, anzi favorendone la riduzione, implicano la condizione che essi generino un aumento più che proporzionale del reddito e, quindi, anche le risorse per poterli rimborsare. Ciò richiede che essi aumentino sensibilmente la produttività dell’economia e promuovano soprattutto l’innovazione con l’emergere di nuovi settori produttivi e di nuove imprese che espandano la base produttiva e l’occupazione.[1]

Ciò premesso, quale programma di investimenti pubblici il Governo sta pensando di attuare per rilanciare l’economia? Con quali criteri di scelta, tenuto conto dell’impatto moltiplicativo che devono avere? Quali sono gli organismi e con quali metodologie essi si occupano di tali valutazioni?

 

Al riguardo va osservato che la legge di bilancio per il 2017 ha istituito un Fondo, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, per assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del paese in determinati settori di spesa, tra cui i trasporti, le infrastrutture, la ricerca, la difesa del suolo, l’edilizia pubblica, la riqualificazione urbana. A tali finalità sono stati destinati oltre 47 miliardi di euro in un orizzonte temporale venticinquennale. La legge di bilancio per il 2018 ha rifinanziato il Fondo investimenti per oltre 36 miliardi dal 2018 al 2033.

 

La cost-benefit analysis e gli investimenti pubblici

La valutazione economico-finanziaria degli investimenti pubblici, soprattutto dei grandi progetti, è da tempo un tema dibattuto in Italia. Bisogna ricordare che, nel nostro paese, nel 1982 sull’esempio di importanti esperienze estere (dagli USA al Giappone), veniva introdotto presso il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) su proposta di Paolo Savona – allora Segretario generale per la Programmazione Economica al Ministero del bilancio, un “Nucleo tecnico di valutazione” degli investimenti pubblici con una particolare procedura di cost-benefit analysis (COBA) e  con il proposito di giustificare e rendere trasparente l’uso delle scarse risorse pubbliche e di evitare che venissero finanziati progetti derivanti unicamente da scelte “politiche” scarsamente ispirate allo sviluppo del pil e dell’occupazione. Le procedure di valutazione riprendevano quelle della Banca Mondiale e della BEI. In tal modo il Nucleo di valutazione – costituito da un gruppo di economisti e valutatori altamente qualificati con esperienza internazionale – avrebbe indicato i progetti più meritevoli di finanziamento sulla base della capacità di generare valore aggiunto sulla base del confronto tra costi e benefici. Il COBA richiedeva l’esplicitazione da parte del Governo della funzione di utilità sottesa all’investimento e che i progetti fossero corredati di un piano di attuazione preciso anche al fine di evitare la prassi della “riserva finanziaria” da parte dei proponenti. Ma ben presto questa procedura, avendo messo fuori gara molti progetti che non superavano tali requisiti, fu abbandonata perché le pressioni politiche ed elettoralistiche ebbero alla fine la meglio imponendo di cambiare le graduatorie dei progetti stilate sulla base di criteri di razionalità economica. Il Nucleo di valutazione fu trasferito nel 1987 prima presso il Ministero del Tesoro e poi nel 2001 presso il Ministero dello Sviluppo economico, ma sostanzialmente senza alcuna funzione valutativa alterandone l’originaria missione. In tal modo veniva svuotata di ogni contenuto di efficienza e controllo buona parte della spesa pubblica[2].

Sotto il Governo Prodi, con la Legge finanziaria del 2007, nasceva Invitalia (dal riassetto di Sviluppo Italia), quale Agenzia-spa di proprietà del Ministero del Tesoro con la responsabilità della gestione del Programma di cofinanziamento pubblico-privato. Nel caso dei grandi progetti infrastrutturali Invitalia si avvale di una procedura di valutazione dei costi e benefici predisposta dalla Commissione europea per l’utilizzo dei fondi di coesione e per lo sviluppo regionale. Ciò dovrebbe corrispondere a una valutazione dell’impatto sul benessere collettivo in termini di aumento del reddito e dell’occupazione. Ma non si può dire che vi sia trasparenza sui risultati prodotti da queste valutazioni, visto che esse non sono note, così come non è noto se l’Agenzia selezioni i progetti secondo un principio di ottimizzazione delle risorse disponibili o se piuttosto segua un criterio di semplice rispondenza ai requisiti amministrativi richiesti per beneficiare dei contributi. Vi è da chiedersi, inoltre, se  Invitalia sia  adeguata a tali compiti di valutazione svolgendo molte altre attività attraverso diverse società controllate che si occupano di sviluppo e di promozione degli investimenti, della nascita di nuove imprese e delle startup innovative, di rilancio delle aree industriali in crisi.

La situazione non è migliorata, anzi si è complicata, quando nel 2014,  su iniziativa del Governo Renzi, veniva costituito presso l’Agenzia della coesione territoriale il NUVEC – “Nucleo di verifica e controllo” quale  riorganizzazione dell’originario Nucleo tecnico di valutazione, con il compito di verificare i progetti rientranti nel programma della politica di coesione 2014-2020; ma non pare che esso abbia prodotto apprezzabili risultati, e abbia funzionato in modo efficace, non essendo peraltro guidato da economisti esperti di valutazioni economico-finanziarie ma da personale con competenze  amministrative.

Sono soprattutto le grandi infrastrutture pubbliche quelle che devono essere sottoposte, prima di essere finanziate, a una accurata analisi costi-benefici che garantisca un dettagliato processo di “valutazione, controllo e tracciabilità”, soprattutto nell’ interesse del bacino di utenza, in modo da  garantire l’incremento dell’occupazione e del reddito. E ciò vale anche per i progetti infrastrutturali che si avvalgono dei fondi di coesione UE, che, come è noto, sono scarsamente utilizzati in Italia sia perché spesso i progetti sono presentati con ritardo sia perché sono carenti le capacità di presentare progetti ammissibili. La caduta degli investimenti nel Sud del nostro paese non dipende dalla mancanza di risorse ma dall’incapacità di elaborare progetti in grado di mobilitare quelle potenzialmente disponibili.

Ma anche i progetti di investimento che beneficiano di agevolazioni pubbliche, è bene che siano sottoposti a un processo di valutazione dei costi- benefici. A questo proposito va ricordato che con il DM 9/12/2014 il Governo Renzi ha previsto a favore delle imprese una contribuzione cospicua a fondo perduto per nuovi investimenti. Il bando si è aperto con ritardo e, pur essendo state presentate numerose proposte per diversi miliardi, non vi è stato alcun risultato pubblicizzato fino all’ emissione di un nuovo DM del 2016 che avrebbe dovuto accelerare tali investimenti attraverso il nuovo Programma Industria 4.0. Invitalia è responsabile della gestione del Programma di cofinanziamento pubblico-privato dei suddetti decreti. In realtà, fino a oggi, è stato finanziato un numero esiguo di proposte. Dopo 3 anni Invitalia comunicava in via telematica che erano disponibili dei residui finanziari per finanziare i progetti accettati chiedendo una conferma dell’interesse da parte degli investitori. Successivamente, senza indicare i termini della valutazione eseguita, Invitalia sollevava vari problemi formali circa la conferma del finanziamento, concedendo 10 giorni come termine ultimo per presentare le nuove correzioni. Ma, scaduto tale termine, non vi sono state altre comunicazioni: in nessun Paese del mondo, si scelgono gli investimenti in modo telematico!

La valutazione degli investimenti pubblici secondo il principio dei costi-benefici e delle ricadute moltiplicative su redditi e occupazione dovrebbe diffondersi ed essere utilizzata anche nell’ambito delle politiche di sviluppo regionale. Occorre, al riguardo, ricordare come in Italia abbiamo assistito invece a un crollo di tali attività valutative, per cui spesso fondi pubblici per gli investimenti infrastrutturali sono stati impiegati per scopi diversi (anche privati). Le cronache giornalistiche hanno riportato, e continuano a riportare tali casi, spesso denunciati dalla Corte dei Conti ed evidenziati dall’Anticorruzione. E’ un fatto assodato come la distrazione e la non tracciabilità dei fondi pubblici abbiano prodotto gravi danni erariali a livello sia nazionale sia regionale.

Cosa dovrebbe fare il Governo

A questo punto,  ci pare  evidente che il nuovo Governo, se intende portare avanti la strategia degli investimenti ad alto moltiplicatore, debba anzitutto fare chiarezza sul ruolo dei suddetti organismi di valutazione, visto che hanno compiti che si sovrappongono, verificando se essi utilizzino correttamente i criteri della cost-benefit analysis in aderenza alle metodologie di “valutazione, controllo e tracciabilità degli investimenti pubblici”. Al fine di razionalizzare e potenziare l’attività di valutazione, crediamo che sia necessario procedere a una riorganizzazione del comparto tenuto anche conto del ruolo della Cassa Depositi e Prestiti (CDP) che dovrebbe funzionare, secondo quanto previsto sempre dal contratto di governo, come banca per gli investimenti e lo sviluppo dell’economia e delle imprese. E la CDP potrebbe svolgere un ruolo di coordinamento sul piano finanziario. A nostro avviso, sarebbe opportuno, anche per evitare potenziali conflitti di interesse, una diversa collocazione dell’attività di valutazione dei costi-benefici riportandola presso il Ministero dell’Economia con una specifica focalizzazione sulla politica degli investimenti infrastrutturali.

 

Alla luce delle considerazioni sull’importanza della cost-benefit analysis si può affermare che i vincoli del Fiscal compact dovrebbero essere rivisti sulla base del principio che gli investimenti infrastrutturali, soprattutto quelli con un elevato moltiplicatore, favoriscono la crescita e quindi, come sostiene il Ministro Paolo Savona, dovrebbero essere esclusi dal computo del rapporto deficit pubblico/pil. La Commissione europea dovrebbe pertanto tenere conto di questo principio e non considerare alla stessa stregua ogni incremento di debito pubblico distinguendo quelli che producono benefici maggiori dei costi e fanno crescere il pil e l’occupazione. Del resto, nell’accedere ai fondi di coesione la Commissione ha accentuato negli ultimi anni l’enfasi sulla coerenza tra i progetti presentati e le strategie di sviluppo territoriale e nazionale e quindi resta centrale la verifica dell’impatto degli investimenti su crescita e occupazione che la cost-benefit analysis può o meno avvalorare.

Il Ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, riferendosi all’uso delle risorse del Fondo investimenti, ha più volte detto di voler prendere in esame l’intera programmazione valutando con attenzione piani operativi e singoli interventi sulla base di analisi costi-benefici. Dobbiamo prendere atto che questo è un passo giusto, ma il lavoro da compiere è una vera sfida. Il nostro paese deve invertire la rotta dimostrando una maggiore capacità di produrre progetti di investimento finanziabili e soprattutto di saper utilizzare e spendere i fondi comunitari di cui disponiamo prima ancora di ricorrere a nuovi i debiti. Finora i risultati, come è noto, sono a dir poco fallimentari. Il Governo italiano deve insistere sulla necessità di una revisione del Fiscal compact ma allo stesso tempo deve dare prova di saper varare un programma di investimenti pubblici che vadano nel senso della promozione della crescita dando priorità a quelli con il maggior impatto espansivo.

Ne segue la necessità di rafforzare il ruolo del Nucleo di valutazione degli investimenti infrastrutturali con una revisione anche delle strutture dedicate a questa importante attività che deve essere resa  più trasparente. Ma riteniamo che il nuovo Governo debba promuovere anche una maggiore diffusione della cultura dell’efficienza degli investimenti pubblici a livello territoriale per cui i principi e le metodologie della cost-benefit analysis devono essere adottati anche dalle amministrazioni locali in modo da favorire processi di decentramento e una maggiore efficienza delle politiche di investimento a livello regionale e urbano. Una sfida difficile  ma che il “Governo del cambiamento” deve affrontare.

Note

[1]Si veda la serie di articoli del Gruppo di discussione “Crescita, Investimenti e Territorio” apparsi su Key4Biz.it, giugno 2018, “Per un programma di governo che rilanci gli investimenti e riduca le disparità”, con interventi di Maurizio Baravelli, Leonardo Becchetti, Riccardo Cappellin, Enrico Marelli e Luciano Pilotti.

[2] Si veda Marsullo L., L’efficienza degli investimenti pubblici in Italia, EPC, 2014

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