Il team di ricerca e sviluppo del New York Times sta esplorando i modi per rendere più chiare le origini del contenuto giornalistico in un periodo storico caratterizzato da un’intensa polarizzazione politica, dall’ampio uso dei social media e soprattutto per la prevalenza della disinformazione online, con effetti sempre più gravi sulle elezioni e sulla stabilità dei governi di tutto il mondo.
L’obiettivo specifico è il contrasto alle fake news, sia veicolate con testi sia con foto, che possono essere manipolate o ripubblicate fuori contesto, e anche la lotta ai deep video, i video fake, che sono in forte crescita (guarda il test su Obama).
La blockchain per proteggere il copyright del fotogiornalismo. Il primo obiettivo del New York Times
In questo senso, il New York Times ha lanciato The News Provenance Project per sperimentare la progettazione del prodotto e gli strumenti rivolti all’utente per cercare di rendere più chiare le origini del contenuto giornalistico.
Il primo progetto è incentrato sul fotogiornalismo. “Poiché le foto possono essere facilmente manipolate – e quindi diffuse ampiamente attraverso spazi digitali con pochi filtri applicati da piattaforme sociali, app di messaggistica o motori di ricerca – così ci proponiamo di imparare cosa succede quando diamo al pubblico una migliore visione delle informazioni associate a una foto pubblicata”, racconta Sasha Koren, la responsabile del progetto.
Quest’estate, oltre a condurre ricerche sugli utenti, il New York Times sta creando un sistema per l’archiviazione e la condivisione di metadati contestuali sulle foto utilizzando Hyperledger Fabric, un framework blockchain autorizzato, privato e open source. Il giornale sta sviluppando questa soluzione in collaborazione con IBM Garage, che ha realizzato progetti simili in altri settori.
Perché la scelta della blockchain?
Perché la scelta di una soluzione basata sulla tecnologia blockchain? Perché all’al di là dell’hype sul tema, “offre meccanismi per la condivisione di informazioni tra entità in modi che riteniamo essenziali per stabilire e mantenere la provenienza dei file digitali. In particolare, i dati archiviati in una blockchain sono immutabili e i backup del database possono essere conservati da più parti”, spiega il New York Times.
“Sperimentando la pubblicazione di foto su una blockchain, in teoria potremmo fornire al pubblico un modo per determinare la fonte di una foto o se è stata modificata dopo la sua pubblicazione”, ha aggiunto Koren, la giornalista a capo del progetto, che invita anche altri soggetti ad unirsi all’iniziativa.
Come il Guardian e l’Ap danno battaglia alle fake news?
Ma il New York Times non è l’unico a dare battaglia alle fake news a partire dalle foto. Il Guardian ha applicato a fotografie, e articoli a corredo, pubblicati da oltre un anno, un’etichetta gialla con sopra l’anno di pubblicazione e il logo del giornale. In questo modo anche se le foto vengono condivise sui social o sulle app di messaggistica non possono essere mai decontestualizzate.
Ha scelto la blockchain anche l’agenzia stampa Associated press (Ap) per inserire informazioni che si desiderano condividere e mantenere immodificabili (perlomeno da parte di terzi). L’intenzione di Ap è tutelare il proprio copyright e porta avanti quella che dovrebbe essere la nuova battaglia di tutta l’editoria, con Civil media company, la società americana che emette sia la criptovaluta Cvl, per finanziare testate giornalistiche indipendenti, sia realizza una piattaforma blockchain per il giornalismo di qualità.
(Leggi l’articolo di approfondimento Blockchain. ’Cvl’, la criptovaluta nata per salvare i giornali. Come funziona)