Lo scorso 31 marzo, in esito ad una proposta avanzata in Consiglio dei Ministri, dal Ministro Giorgetti del MISE, il Governo italiano ha deliberato un nuovo esercizio del potere di veto previsto dalla normativa sul cosiddetto “golden power” in riferimento, questa volta, alla notificata operazione di finanza straordinaria acquisitiva della quota di partecipazione al capitale sociale pari al del 70% dell’azienda italiana Lpe di Baranzate, nel Milanese, da parte della società cinese Shenzen Invenland holdings.
Domanda e offerta
L’esercizio del potere di veto è evidentemente motivato dalla particolare rilevanza strategica dell’azienda target, atteso il suo attivo posizionamento nel settore della produzione di reattori epitassiali funzionali alla supply chain della produzione di semiconduttori.
Del resto, la rilevanza strategica del settore è sotto gli occhi di tutti.
Ed infatti, una delle sfide più importanti sul piano globale riguarda proprio una oggettiva carenza, invero senza precedenti, di chip per computer.
Le industrie mondiali, dall’elettronica di consumo alle case automobilistiche, stanno soffrendo e la carenza di semiconduttori sta facendo aumentare i costi e costringendo le aziende a ridurre le loro produzioni.
Questo perché ormai i chip guidano il nostro mondo sempre più eterogeneamente interconnesso e con una versatilità di impego in più settori produttivi civili e militari.
Ecco perché in questo momento storico, la domanda è notevolmente superiore all’offerta e, quest’ultima, afferisce ad una produzione invero limitata a pochi grandi players che, per fronteggiare la forte richiesta, stanno molto investendo per espandere la loro produzione.
Semiconduttori: la strategia indiana
L’India, ad esempio, è uno dei paesi più dinamici nel settore, che prima e meglio di altri paesi occidentali ha saputo cogliere le nuove opportunità del mercato della microelettronica. La regola aurea adottata dall’India è quella degli incentivi.
Il Governo Indiano ha dichiarato, infatti, che offrirà incentivi in denaro di oltre 1 miliardo di dollari alle aziende che decideranno di stabilirsi in India per produrre chip.
A tal riguardo, il governo indiano ha anche assicurato alle aziende destinatarie dell’offerta non solo che si renderà acquirente ma che ci saranno anche mandati protezionistici nel mercato privato per vincolare le aziende all’acquisto di chip dalla produzione locale, la cui attendibilità verrà certificata a livello governativo.
A livello mondiale
Sebbene il coming out dell’India su tale produzione strategica evidenzi visione e lungimiranza, va detto che anche altri governi stanno sovvenzionando i produttori di chip e la competizione è molto intensa.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha, infatti, proposto di mettere sul piatto ben 50 miliardi di dollari per rilanciare l’industria dei chip negli States e creare un centro tecnologico nazionale per i semiconduttori e la ricerca, all’interno del suo piano infrastrutturale da due trilioni di dollari che vedrebbe la superpotenza americana investire il budget in due macro aree:
- incentivi alla produzione
- ricerca e design
D’altro canto, l’amministrazione americana ha sin da subito mostrato sensibilità verso il tema dell’attuale carenza di semiconduttori che ha definito il “chiodo a ferro di cavallo del 21° secolo“.
Infatti, già lo scorso febbraio, il Presidente Biden aveva incontrato un gruppo bipartisan di legislatori proprio per discutere le questioni della catena di approvvigionamento di semiconduttori per computer e batterie di grandi dimensioni che vengono utilizzate nei veicoli elettrici, firmando poco dopo un ordine esecutivo ed aprendo anche ad un accordo con il Giappone per componenti di chip critici.
Il dinamismo della Cina, di contro, dimostra un fervido interesse ad atteggiarsi come leader anche di questa nuova competizione mondiale.
Non a caso, nel corso del 2020, più di 35 miliardi di dollari sono confluiti nelle aziende cinesi di semiconduttori registrando un aumento del 407% rispetto al 2019.
Eppure, fino a poco tempo fa, la Cina dipendeva dagli Stati Uniti ed ogni anno importava più di 300 miliardi di dollari di chip da fornitori americani che, per contro, hanno ricevuto il 25% dei loro ordini di vendita dai mercati cinesi fino al ban alle esportazioni imposto lo scorso dicembre dall’amministrazione Trump (ed ancora in corso di efficacia).
All’Europa manca una strategia aggressiva sui semiconduttori
Dunque, in tale scenario, la crescente domanda di chip e la carenza sul lato dell’offerta sta configurando una nuova competizione tra due grandi players mondiali per puntare parimenti ad aggredire la rendita di posizione di Taiwan, primo produttore mondiale che in questo momento storico condiziona anche il pricing per favorire gli investimenti strutturali funzionali all’aumento della capacità produttiva.
Tuttavia, l’India ha ben colto l’opportunità di proiettarsi come un degno candidato per le società di semiconduttori, divenendo un nuovo hub globale, forte anche del suo ranking come secondo produttore di cellulari al mondo, appena dopo la Cina.
Confidiamo che anche l’Europa orienti presto la sua bussola verso una strategia più aggressiva sulla microelettronica per competere nell’agone mondiale.
Articolo di Davide Maniscalco, Avvocato esperto in diritto societario e commerciale