Come un romanzo d’appendice di manzoniana memoria, questo matrimonio per la rete unica in fibra fra Fibercop e Open Fiber alla fine s’ha da fare. La vede così il Governo italiano, che per bocca di Marcello Sala, il dirigente del MEF responsabile delle privatizzazioni del Tesoro, torna sul tema in occasione del Bloomberg Future of Finance forum che si è tenuto ieri a Milano. L’Italia vuole avere “soltanto una rete unica per la fibra nel paese”, ha detto Sala, rilanciando ancora una volta una visione strategica a lungo termine, che al momento deve fare i conti con la persistente concorrenza fra due player separati, per quanto compartecipati entrambi da soggetti che fanno capo allo Stato.
CDP presente in Open Fiber e Tim. MEF presente in Fibercop
Cassa Depositi e Prestiti controlla Open Fiber al 60%, in tandem con il fondo australiano Macquarie (40%), pur mantenendo una quota di minoranza (9,81%) anche in Tim. Una esposizione, quella di CDP in Open Fiber, alquanto importante, che preoccupa non poco il MEF dal punto di vista finanziario. Lo stesso vale per Macquarie.
Fibercop, dal canto suo, è la società della rete dell’ex monopolista, controllata dal fondo americano KKR (37,8%) con una presenza diretta del MEF (16%) e di altri azionisti fra cui il fondo sovrano di Abu Dhabi Adia e il fondo pensione Canada Pension Plan (CPP) Investment Board.
Duplicazione della rete
Avere una rete unica in Italia, scrive Bloomberg, eviterebbe miliardi di euro di investimenti duplicati ed è in linea con i desiderata del Primo Ministro Giorgia Meloni di potenziare i servizi digitali nel Paese, che ha tra l’altro assunto un ruolo di primo piano a livello internazionale sulla promozione dell’AI in quanto presidente di turno e del G7.
C’è da dire che la rete unica, secondo altre voci, è in realtà un mito, vista la presenza nel nostro paese di numerose altre reti alternative regionali che non rientrano nel perimetro del progetto, e che continueranno ad esistere separatamente, in primis quella di Fastweb che tra l’altro è uscita da Fibercop all’atto dello scorporo.
Il nodo degli earn out: come si porrà KKR?
Il governo discute da anni della possibilità di unire le attività di rete fissa di Tim con quelle del rivale più piccolo Open Fiber. All’inizio di quest’anno, Tim ha completato la vendita della sua rete a KKR in un accordo da 18,8 miliardi di euro per aiutarla a ridurre il debito. L’accordo include 2,5 miliardi di euro – che potrebbero salire a 2,9 miliardi – in guadagni (earn out) che KKR dovrebbe pagare a Tim, per lo più legati a una possibile fusione con Open Fiber entro 30 mesi.
Per ora, le due aziende procedono separatamente su binari paralleli e Open Fiber ha ancora bisogno del sostegno delle banche per proseguire con i suoi piani di copertura delle aree bianche e grigie del paese. Sullo sfondo resta da capire se KKR sarà davvero propensa a favorire la fusione di Fibercop con Open Fiber, visto l’earn out non trascurabile che dovrebbe sborsare e su cui Tim punta molto per partecipare attivamente (da predatore e non da preda) all’ondata di consolidamento da più parti auspicata.