A distanza di più di un anno dal rebranding che ha portato il vecchio Google Ads e l’altrettanto tradizionale Doubleclick a fondersi nella nuova offerta pubblicitaria del gigante di Mountain View, molteplici sono i fronti dove vengono immesse funzionalità di machine learning per consentire agli algoritmi di ottimizzare l’erogazione e il rendimento delle campagne.
In parallelo con l’evoluzione di Facebook ed Instagram, sempre più infatti gli inserzionisti sono invitati ad utilizzare più versioni degli annunci e ad adottare il codice di tracciamento per abilitare Google ad avere visibilità, dati e di conseguenza spazi per migliorare in corsa il ritorno sugli investimenti pubblicitari.
Qualche esempio:
- il Rapporto Paid & Organic, grazie al collegamento fra Google Ads e Search Console mette in evidenza possibili sovrapposizioni fra visibilità organica e a pagamento;
- più titoli, più descrizioni è più elementi grafici consentono una molteplice combinazione e quindi un adeguamento alla navigazione da dispositivi diversi: sono gli annunci adattabili nella Rete di ricerca e nella rete Display;
- l’introduzione delle campagne a lead con la conseguente creazione del form di contatto abilita l’ottimizzazione delle impressions sulla base del tasso di iscrizione;
- le campagne display e le campagne shopping permettono in miglioramento progressivo nel momento in cui sono impostate in forma “intelligente” ovvero rendendo visibile a Google l’avvenuta conversione grazie all’adozione del relativo codice.
Se Google Ads mira quindi ad apprendere e migliorarsi, è però vero che tali campagne rispondono a requisiti di scalabilità e supportano pertanto realtà capaci di sostenere investimenti significativi anche sulla base di modelli di business il più possibile fondati su un percorso digitale.