Il commento

Il Gruppo GEDI all’attacco del Garante Privacy? Cosa c’è dietro l’articolo de L’Espresso?

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Dal quadro che ne scaturisce, emerge un articolo orientato al ludibrio, senza una sola osservazione di merito su scelte e i comportamenti regolatori dell’autorità. L’autore dell’articolo ignora evidentemente il peso della protezione dei dati, il ruolo che hanno nell’economia digitale, il fatto che 7 delle prime 10 società al mondo per capitalizzazione hanno modelli di business fondati sulla profilazione e la sorveglianza di massa.

Ci ha colpito molto l’uscita di ieri mattina de L’Espresso, che con un articolo di Carlo Tecce, dal titolo già di per sé tristemente eloquente, “Garante di se stesso” (riferito al presidente del Garante Privacy Pasquale Stanzione), sferra un attacco apparentemente inutile e certamente di basso profilo all’Autorità per la Protezione dei Dati Personali.

Abbiamo ancora memoria dello stesso settimanale all’epoca delle grandi campagne democratiche e delle denunce contro l’eversione dei generali. Invece no, niente di tutto ciò. Al contrario, una uscita, questa, discutibile e di cattivo gusto, che non premia il giornalismo d’inchiesta, a cui sembra esser dichiaratamente votato l’autore e fa sorgere il dubbio di oggettive sovrapposizioni (quand’anche certamente non cercate) con interessi che potrebbero provenire dai settori più disparati: mondo della politica (?) o delle grandi banche d’affari che cancellerebbero domani stesso i Garanti (?) o dei Big Tech (che hanno lo stesso obiettivo?) o magari di qualche interesse futuro del gruppo GEDI/Elkann?

Detto questo, cercherò di essere circostanziato, pur senza arrivare agli inutili dettagli riportati nel pezzo di Tecce.

Contesto

Intanto guardiamo al contesto. Da tempo è in atto un duro attacco contro l’Autorità in questione.

Già un anno fa nacquero le prime esternazioni da parte di esponenti pubblici che iniziarono a usare strumentalmente i luoghi comuni delle chiacchierate tra amici: “la pandemia è cosa seria – ripetevano – non possiamo preoccuparci della privacy” e via dicendo.

Erano, guarda caso, i tempi dell’app Immuni (poi miseramente fallita) che consentì a Google e Apple di raccogliere tonnellate di dati sanitari personali su tanti italiani.

Da allora è stato un crescendo di attacchi, più o meno velati, alla protezione dei dati in ambito sanitario e non, passando anche per le dichiarazioni di personaggi che trascorrono (beati loro) molto tempo su Twitter e che avrebbero cancellato la normativa privacy europea in un sol colpo, dall’economista Carlo Cottarelli al virologo Roberto Burioni (si, quello che vuol fare “…le collette per pagare Netflix ai non vaccinati che dovranno stare chiusi a casa come sorci”). Tutti pronti a considerare la privacy come un “inutile orpello” capace di farci sprofondare nel medioevo.

L’articolo contro il Garante

E ora veniamo all’articolo de L’Espresso.

Oggetto dell’articolo è un incontro tra governo e Garante, che si sarebbe tenuto lo scorso 5 maggio, per discutere delle osservazioni di quest’ultimo ad alcuni provvedimenti del governo e delle richieste amministrative del Garante al governo stesso.

Per dichiarare il punto, Carlo Tecce chiarisce già nel titolo che l’attacco è di tipo personale (al presidente del Garante), ma poi non sa trattenersi e sferra un ulteriore affondo generalizzato al ruolo dell’Autorità in quanto tale. Non lo dice con un Tweet, evidentemente, ma si allinea volentieri allo stile di Cottarelli e Burioni.

L’incontro

All’incontro citato partecipano, anche se l’articolista non lo dichiara, da un lato il premier Mario Draghi, accompagnato dal sottosegretario Roberto Garofoli, dal segretario generale Roberto Chieppa e dal consigliere Marco D’Alberti, dall’altro Pasquale Stanzione, Garante per la Protezione dei Dati Personali, accompagnato dal suo segretario generale, Fabio Mattei.

L’incontro potrebbe essere stato sollecitato dallo stesso premier Mario Draghi, stando a quanto si evince dal testo dell’articolo: “Smaltiti i convenevoli di un incontro istituzionale, Draghi era curioso di sapere perché ad ogni bozza di provvedimento….il Garante per la protezione dei dati personali o meglio il Garante della Privacy con grande slancio di impegnava a redarguire il governo, a denunciare che ci fosse un rischio alto, un pericolo concreto, una minaccia per i cittadini…” scrive Tecce.

Il mestiere del Garante

Evidentemente l’autore non sa di cosa parla. Il mestiere del Garante è proprio quello.

Ed evidentemente ignora che lo scorso anno, esattamente il 1° giugno 2020, proprio per le cappellate del nostro governo (non importa se al tempo si trattasse di un governo diverso da questo), l’allora Garante Antonello Soro fu costretto ad autorizzare in via solo provvisoria la pratica del tracciamento decisa dal governo dell’epoca, a patto che il governo stesso ottemperasse a ben 12 prescrizioni, con termini al 30 giugno successivo (a proposito sarebbe utile sapere se sono state tutte affrontate e risolte…). Questo, solo per segnalare come uno stesso governo rischia di decidere cose a volte contrarie alla legge. E in questi casi, come è ovvio, non ci possono essere deroghe, a meno che non si voglia finire come una democrazia alla berlina.

Subito dopo, come dicevamo, l’articolo di Carlo Tecce cambia registro e passa ad uno scomposto attacco frontale contro l’Autorità, il suo presidente e i membri del collegio che lo affiancano. Tutti responsabili, sembra di capire, di attacchi da Pierino che hanno il solo scopo di sbraitare per poi chiedere delle contropartite al governo. Quali, secondo l’autore dell’articolo?

Qui L’Espresso ci confida che Pasquale Stanzionetoglie dalla tasca della giacca appunti su appunti” per dire che oggi il limite di personale del Garante è di 162 dipendenti, ma ne sono disponibili solo 134. Troppo pochi, secondo il presidente dell’Autorità. Ed i numeri reali sono proprio questi, sono numeri che fotografano lo stato della pianta organica.

Carenze di personale

L’autore del pezzo Carlo Tecce, esperto in giornalismo investigativo, avrebbe speso solo pochi attimi (ma non lo ha fatto) per appurare che è tutto vero, che il Garante Privacy ha il personale più striminzito tra tutte le autorità italiane (AGCOM arriva addirittura ad oltre 450 dipendenti, sul cui operato non intendiamo esprimere alcuna valutazione personale). Ma che è anche il Garante che in Europa ha il personale più contenuto rispetto a Paesi simili al nostro, come Francia, Germania e Spagna. E si consideri che il Garante privacy della Germania, un paese che ha 80 milioni di abitanti rispetto ai nostri 60 milioni, dispone di una pianta organica di quasi 800 dipendenti, contro i nostri 134

Quindi la richiesta di Stanzione è legittima, oltre che condivisibile, e siamo certi che anche L’Espresso dovrebbe decidere di fare una battaglia di civiltà a supporto di questo obiettivo.

Il compenso

Poi c’è l’argomento che Tecce scodella come se fosse il boccone del prete: il compenso dei membri del Collegio. Solo 160.000 euro di retribuzione lorda annua, contro i 240.000 euro dei colleghi di AGCOM. Anche qui non si capisce dove sia lo scoop.

Forse Carlo Tecce e L’Espresso ignorano che proprio in questi giorni il governo sta trasformando in legge il dl 82 che istituisce l’Agenzia per la Cybersicurezza. E probabilmente Tecce ignora che tale Agenzia assorbirà a regime 800 persone e il trattamento economico sarà equiparato a Banca d’Italia con ben 16 mensilità assicurate a tutti i dipendenti.

Anche qui non c’è niente fuori posto e il Garante, reclamando l’equiparazione delle retribuzioni ha riportato fatti reali che indicano sperequazioni.

Piuttosto, viene da pensare che tali sperequazioni siano esse stesse parte integrante del sostanziale attacco nei confronti del Garante: una sorta di messaggio per dire che nei periodi più freddi potrebbe mancarvi il gas per riscaldarvi….

I componenti del Collegio

A questo punto Carlo Tecce passa all’analisi dei singoli componenti del Collegio.

Stanzione è un vecchiaccio che deve l’incarico proprio alla sua avanzata età, utile per fregare Ignazio La Russa che ambiva allo stesso posto e che era riuscito a far approvare una norma dal Parlamento per la riapertura dei termini di presentazione dei curriculum, per infilarci anche il suo. Doveva essere un gol a porta vuota, ma così non è stato.

Poi, in ordine, il membro del Collegio Agostino Ghiglia, presentato come ex parlamentare di AN, pupillo di Giorgio Almirante, già dirigente del Fronte della Gioventù, che da ragazzo le ha date e le ha prese, sino a farsi condannare con 9 mesi di reclusione per un’aggressione.

Quindi la Vice presidente Ginevra Cerrina Feroni, baronessa, indicata dalla Lega, anzi costituzionalista di riferimento dei leghisti, ma amica di Conte e secondo Tecce responsabile di imprudenti uscite su Twitter.

Infine Guido Scorza, indicato dai 5S e segnalato da Tecce come esperto di tecnologie, ma anche di privacy. A Scorza solo due righe, nell’economia della scrittura di Tecce, praticamente fuori dai radar.

Da qui in poi, il peggior qualunquismo che si usa per parlare alle pance dei lettori.

Le spese

Il baldo autore dell’articolo riporta con precisione la spesa di 4.000 euro per il logo, 70.000 euro per arredi, 3.450 euro per il rifacimento della scrivania della vicepresidente a cui vano imputati anche 4.530 euro per il rifacimento dei tendaggi dell’ufficio (senza capire il senso di questo elenco).

Tutte cose di assoluta ordinarietà.

Poi ci sono 32.500 euro di spesa per un filmato, per Carlo Tecce assegnati senza gara per le deroghe da pandemia; il che non è vero perché l’articolista dovrebbe ben sapere che la PA per impegni sino a 40.000 euro può procedere per assegnazione diretta, indipendentemente da emergenze da pandemia (che hanno peraltro aumentato tale soglia a 75.000 euro).

Dal quadro deprimente che ne scaturisce, emerge un articolo orientato al ludibrio, senza una sola osservazione di merito sulle scelte e sui comportamenti regolatori dell’autorità.

Il ruolo dei dati

L’autore dell’articolo ignora evidentemente il peso, il valore e il significato della protezione dei dati, il ruolo che i dati hanno nell’economia digitale, il fatto che 7 delle prime 10 società al mondo per capitalizzazione hanno modelli di business fondati sulla profilazione e la sorveglianza di massa.

L’articolista ignora che l’economia dei dati è la madre di tutte le battaglie a cui è legato il futuro stesso delle nostre gracili democrazie.

Perché questo articolo contro il Garante?

Ma egli e il suo giornale ignorano che le battaglie in corso esigono chiarezza, trasparenza, approfondimento e non pettegolezzo o chiacchiericcio, né tantomeno “il venticello della calunnia” del Barbiere di Siviglia (Atto I, Scena VIII. N.6).

E allora viene da chiedersi: perché questo articolo e perché con l’uso di questi toni a dir poco discutibili?

E infine perché pubblicarlo ieri, 25 luglio, quando si rifà ad un incontro a Palazzo Chigi tenutosi addirittura il 5 maggio, due mesi e mezzo fa.

Suggeriamo a Carlo Tecce di fare una piccola inchiesta a tale proposito, ponendo a se stesso questi quesiti e chissà, magari potrebbe trovare anche le risposte giuste.

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