Isolamento

Il fenomeno Hikikomori e il ritiro nelle stanze virtuali

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Il fenomeno degli Hikikomori è in oggi in rapida ascesa anche in Italia ma nasce come nuovo fenomeno clinico al quale prestare estrema attenzione in Giappone negli anni 80.

Lì in quello spazio funziona tutto. Se premo un tasto so dove arrivare, è tutto ordinato, lineare. Non ho sorprese. Qui invece, nel mondo reale è tutto confuso, c’è disordine, non capisco le persone e sono spaventato”.

Anche se le parole di M. sono rimaste scolpite nella mia mente, è stato il suo sguardo a rimanere indelebile come traduttore di significati interni che vanno oltre le parole e che possono essere compresi solo nell’ascolto empatico di una fragilità che, teme, ma nel contempo brama, di essere scoperta.

Il fenomeno

Sono tanti i ragazzi oggi che chiudono la porta al mondo esterno e si rifugiano all’interno delle loro camere, spengono i riflettori sulla confusione del quotidiano, delle difficoltà, della gestione emotiva delle relazioni, e anelano sprazzi di vita, cancellando vita, all’interno dell’algoritmo binario dello screen, che isola ma protegge, dall’incertezza di un mondo che fa soffrire e che si desidera perfetto.

Non siamo soli, siamo tanti. Non sappiamo come ci siamo arrivati ma sappiamo che non riusciamo più ad uscirne”.

Si entra con facilità nello spazio digitale, commisto e ibrido a quello reale, ci si distrae momentaneamente, soprattutto in un momento di difficoltà, si perde gradualmente la connessione con lo spazio e il tempo, si altera il ritmo circadiano scambiando la notte con il giorno e allontanandosi dalla luce si rischia di perdere la luce delle relazioni, degli affetti e si dialoga solo con chi è chiuso nelle stanze fuori dal mondo e, dall’altra parte del mondo.

Se da una parte lo stare in disparte degli Hikikomori mette paura, ed amplifica i timori e le preoccupazioni di tanti genitori che vedono i loro figli completamente assorti nel gioco online, dall’altra la reale quantificazione di questo nuovo fenomeno clinico ci sfugge in quanto molti genitori di ragazzi che scelgono di isolarsi, arrivano in ritardo a rendersi conto della gravità della situazione.

Gli schermi catturano, sono di facile utilizzo in quanto cablati su un’attivazione procedurale intuitiva, assecondano desideri e mettono in riga sequenze ordinate di scelte individuali e/o collettive che permettono di pensare poco a ciò che spaventa, a ciò che agita, e danno la sicurezza di una presenza costante che fa compagnia e non fa sentire soli.

Anche se soli lo si è davvero perché ci si è sono rifugiati nella rete che diventa un impalpabile rifugio della mente, panacea mediatica di un dolore interno che non si vuole affrontare o che non si ha la forza di toccare con mano e dal quale si fugge.

Il meccanismo di difesa tipico della scelta estrema di un rifugio mentale è la dissociazione, trade d’union delle dipendenze in generale, che assoggettano la fissazione sulle sostanze o sui comportamenti allo scollamento mentale di pensieri che non possono essere pensati, né tradotti in parole se non in agiti disfunzionali ai danni del sè.

In Italia

La mente ha i suoi labirintici percorsi e anche se l’incipit strutturale di una deviazione della norma viene celato e richiuso nei circuiti della memoria implicita, l’esito distruttivo si conferma su un’omogeneità clinica in cui si rintracciano elementi strutturali comuni. Il fenomeno degli Hikikomori è in oggi in rapida ascesa anche in Italia ma nasce come nuovo fenomeno clinico al quale prestare estrema attenzione in Giappone negli anni 80.

Questi giovani, principalmente di sesso maschile, sono ragazzi molto intelligenti, con alto senso morale e spirito critico che hanno scelto volontariamente o si sono ritrovati a chiudere la porta delle loro stanze, denunciando una fragilità emotiva che gli impedisce di confrontarsi con il mondo esterno, sia per vergogna, sia per timore ed incapacità di gestire l’emotività che il contatto con l’altro comporta. Sono ragazzi le cui famiglie hanno riversato su di loro grandi aspettative di riuscita d’eccellenza, soprattutto sul piano cognitivo e formativo, prestando poca attenzione ai loro vissuti emotivi.

Bisogna parlarne

La fragilità emotiva che si cela dietro ad un muro difensivo spesso mascherato da lassismo, passività ed indifferenza verso il mondo circostante, è il cuore centrale sia per impostare programmi di prevenzione primaria nelle scuole in cui sostenere e promuovere la gestione delle emozioni in termini di consapevolezza, sia per impostare programmi di intervento domiciliari che possano gradualmente portare i giovani isolati nelle loro camere, ad aprire la porta del loro mondo interno per agire in termini riparativi su una presa di contatto diretto con l’altro e con il proprio nucleo di sofferenza interna.

Azione che viene ad essere incentivata dalla segnalazione da parte delle famiglie che non debbono colludere con la richiesta di “chiusura” temporanea da parte dei loro figli, ma piuttosto che siano  aiutate a cogliere i campanelli di allarme di una perturbazione psichica prima che si trasformi e si strutturi in una patologia clinica rilevante in cui il web agisce da mediatore affettivo di un’affettività cristallizzata e deficitaria.

Parlarne insieme e gettare la luce sul fenomeno è un prima mano tesa verso le famiglie e i ragazzi che, forse inconsapevolmente, stanno per chiudere la porta dello loro stanze.

La prevenzione è anche questo.

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