Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha esposto il suo programma di governo alla Camera, merita apprezzamento per la sua sincerità, il suo coraggio e la sua fede nei valori costitutivi di una civiltà: nazione, patria e famiglia. È da aggiungere che Ella ha parlato con grande passione dell’importanza del concetto dell’italianità e finalmente ha dato una scossa contro coloro che, purtroppo da tempo, hanno assunto un carattere servile nei confronti dell’Europa e, argomento di grande rilevanza costituzionale, ha proposto l’inserimento nell’attività economica del principio dell’interesse nazionale.
Quello che manca, a mio avviso, è il riferimento alla nostra Costituzione che, se fosse stato tenuto presente, avrebbe evitato in questo discorso taluni aspetti troppo personalistici e poco fondati dal punto di vista giuridico-costituzionale.
Mi riferisco alla modifica della Costituzione per quanto riguarda le autonomie differenziate e soprattutto per quanto riguarda l’abolizione della centralità del Parlamento (che è il sottinteso del discorso) a favore del semi-presidenzialismo alla francese.
Una forma di governo che prevede l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e la nomina, da parte di questi, del Presidente del Consiglio dei Ministri. E anche qui è sottintesa una frase che Meloni ha riferito alle imprese, ma che è riferibile anche al semi-presidenzialismo: “non disturbare chi vuole fare”, una frase che somiglia molto a quella ben nota: “non disturbate il manovratore”.
Il fatto è che Meloni si preoccupa molto più della governabilità, dimenticando la pericolosità di un uomo solo al comando (fu Mussolini a decidere che l’Italia entrasse nella seconda guerra mondiale) piuttosto che di una reale democrazia, che comporta, come sancisce l’articolo 3, comma 2, della Costituzione, la partecipazione attiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ciò è confermato anche dal fatto che Ella assegna al Popolo soltanto il diritto di voto e quindi solo un giudizio sull’operato del governo durante i cinque anni della legislatura.
Tutto questo si presenta come un tornare indietro sulla strada segnata dalla Costituzione, secondo la quale la Repubblica elimina gli ostacoli che “limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impedisce il libero svolgimento della persona umana”. Ed è questo, a mio avviso, il centro del problema che sfugge a Meloni.
Ho molto apprezzato, in tema di economia, il risalto che Ella ha dato alla tutela delle infrastrutture strategiche nazionali, assicurando la proprietà pubblica delle reti sulle quali le aziende potranno offrire servizi in regime di libera concorrenza, a partire da quella della comunicazione e ho ancor più apprezzato la sua proposta di introdurre in economia la clausola di salvaguardia dell’interesse nazionale.
In proposito, tuttavia, devo osservare che Meloni non ha fatto riferimento alla Costituzione, perché è in questa che sono dettati i meccanismi per attuare dette importanti finalità.
Mi permetto di suggerire alla neo-eletta Presidente del Consiglio, la quale ha molto sottolineato il fatto che nell’ultimo decennio i nostri governi hanno peggiorato di molto la nostra situazione economica, che il problema consiste nel fatto che questi governi, con leggi costituzionalmente illegittime, hanno trasformato il sistema economico keynesiano, che contiene la chiave di volta per il funzionamento di una sana economia, distribuendo la ricchezza alla base delle piramide sociale e incrementando la domanda, con il sistema predatorio neoliberista (pienamente accolto in Europa) secondo il quale la ricchezza deve essere nelle mani di pochi e lo Stato non deve intervenire nell’economia.
Se Meloni avesse puntellato il suo discorso con questi riferimenti costituzionali avrebbe dato peso concreto alle sue parole. Ripeto a lei quello che ho sempre detto: la Costituzione non va modificata, ma applicata e soprattutto vanno applicati gli articoli 2, 3, 4, 5, 35, 41, 42, 43 e 118 ultimo comma.