La parola fintech (“financial technology”) indica il software e la tecnologia applicata al mondo della finanza: si tratta dei nuovi dominatori del mondo, un’ibridazione tra gli anarco-capitalisti della Silicon Valley (Steve Jobs e sodali vari) e gli uomini d’oro di Wall Street (gli artefici della bolla del 2008, in effetti; la maggior parte dei quali è ampiamente sopravvissuta e ha anzi prosperato, con entità come Goldman Sachs e Blackrock che hanno la capacità “di sussurrare alle orecchie dei governi”), rimpiazzando gli oilmen (i petrolieri), con le majors del petrolio ormai indirizzate a una sofferta (e mal digerita) transizione verso la produzione di energia rinnovabile.
Del resto, non è un caso che, tra i personaggi più rappresentativi (e più ricchi) dell’establishment economico mondiale ci sia Elon Musk che, prima di Tesla, ha fatto fortuna con Paypal, una delle società che, per prime, hanno innovato il mondo del fintech. Oggi il fintech include, a livello mondiale, una spumeggiante galassia di unicorni, PMI e startup che creano prodotti e tecnologia innovativa, e che s’insediano negli ecosistemi dove si concentrano competenze tecnologiche e mercati finanziari di vaste dimensioni.
Se la Cina sta attraversando una fase di aggressivo dirigismo nei confronti dei grandi gruppi privati cresciuti all’ombra del partito comunista, incluso il settore fintech (la cui vittima più illustre è Ant, il braccio finanziario di Alibaba Group, con ricadute anche sul piano personale del fondatore e proprietario, Jack Ma) con il governo deciso a prendere in mano direttamente le leve del fintech (in particolare, le cryptovalute: il governo cinese ha già dichiarato che, a breve, sarà creata una cryptovaluta di Stato e, tanto per chiarire la serietà delle proprie intenzioni, ha sostanzialmente “sbattuto” fuori dal paese tutti miners di nodi delle blockchain), gli Stati Uniti guidano sicuramente lo sviluppo del settore fintech ed è, comunque, degno di nota quanto sta avvenendo nella piccola Svizzera che, facendo leva sul settore bancario di primo livello tradizionalmente presente nel paese, ha già prodotto diversi cluster notevolmente avanzati nell’ambito della finanza tecnologica; in tutto ciò, facendo un macro-ragionamento su scala internazionale, non si può certo dire, al momento, che l’Unione Europea si stia distinguendo per la creazione di imprese e prodotti degni di particolare nota nel settore del fintech.
Scenario di sviluppo del fintech nella UE
Facendo un ragionamento schematico (che sconta tutti i limiti del caso), si può dire che, tutto sommato, in diversi paesi della UE siano presenti sia dei settori industriali con elevate competenze tecnologiche e IT (comunque, non come gli Stati Uniti o alcuni Stati asiatici) e sia dei mercati finanziari di dimensioni non irrilevanti (anche qui, comunque non paragonabili agli Stati Uniti o ad alcuni mercati finanziari asiatici) ma i “27” non si distinguono, a livello, mondiale per aver sviluppato dei cluster di fintech particolarmente vibranti. La UE, tuttavia, con la normativa in materia di privacy (ed è noto che il GDPR rappresenti ormai un parametro di riferimento a livello mondiale) e la legislazione a tutela dei consumatori o la Mifid, emanate nell’ottica di un equilibrio virtuoso con la creazione di un solido mercato interno (come, in linea di principio e semplificando, specificano i “considerando” degli atti normativi emanati dalla UE in tali ambiti) ha dimostrato di poter coniugare innovazione e sviluppo di mercato o, detto in altri termini, gli animal spirits con l’elaborazione di un sistema di regole che li disciplinino (o, detto in ulteriori, altri, termini, di applicare efficacemente la teoria ordoliberista di matrice tedesca).
Nell’ambito del fintech le problematiche inerenti la protezione dei consumatori e dei diritti individuali delle persone sono molteplici, come (senza alcuna pretesa di esaustività): la regolamentazione delle cryptovalute, il cui valore a livello globale è ormai equiparabile al PIL italiano; l’asimmetria informativa a protezione delle generazioni meno giovani che rischiano di subire danni (o truffe) a causa di sistemi tecnologici fortemente complessi e di difficile intellegibilità; la tutela dei dati personali; il pericolo rappresentato di azioni di hacking e di cybercrimini, frequentemente intrise di, o correlate alla, geopolitica internazionale. In un tale scenario, la UE può far ben valere “il proprio valore aggiunto” e sviluppare un’industria del fintech all’interno di un sistema di regole ben definite che tutelino i diritti fondamentali delle persone sia in quanto cittadini (la privacy, per esempio) e sia in quanto consumatori (la tutela contro pratiche scorrette e abusi costruiti sulla base di asimmetrie informative talmente incolmabili da aver portato il legislatore europeo a disciplinare diverse fattispecie di nullità contrattuali, che la dottrina civilistica frequentemente identifica come “nullità di protezione”).
E’ probabilmente in tale contesto che può essere collocato il Digital Finance Package, presentato dalla Commissione europea il 24 settembre 2021.
Il Digital Finance Package
Il Digital Finance Package si compone essenzialmente di tre pilastri: 1) la Digital Financial Strategy; 2) la proposta di un regolamento europeo in materia di Markets in Crypto-assets (MICA); 3) la proposta legislativa per un “EU regulatory framework on digital operational resilience – Prevent and mitigate cyber threats”.
La Digital Finance Strategy si basa su quattro elementi considerati prioritari “removing fragmentation in the Digital Single Market, adapting the EU regulatory framework to facilitate digital innovation, promoting a data-driven finance and addressing the challenges and risks with digital transformation, including enhancing the digital operational resilience of the financial system” e la Commissione europea chiaramente specifica che “a strong and vibrant European digital finance sector would strengthen Europe’s ability to reinforce our open strategic autonomy in financial services and, by extension, our capacity to regulate and supervise the financial system to protect Europe’s financial stability and our values”.
La proposta di un regolamento europeo in materia di crypto-assets (si badi: non solo le cryptovalute ma anche i token utilizzati per i cosiddetti ICO, cioè gli Initial Coin Offering, ma anche – almeno stando al tenore letterale della norma – gli NFT, su cui si veda il seguente articolo pubblicato da chi scrive su questa rivista) costruita sull’idea di elaborare un quadro normativo “on crypto-assets to allow for innovation in a way that preserves financial stability and protects investors”; in particolare, la Commissione europea parte dall’assunto di differenziare “between those crypto-assets already governed by EU legislation, and other crypto-assets”: “the former will remain subject to existing legislation but the Commission but the Commission proposes a pilot regime for market infrastructures that wish to try to trade and settle transactions in financial instruments in crypto-asset form. This should enable market participants and regulators to gain experience with the use of DLTs exchanges that would trade or record shares or bonds on the digital ledger”; per i secondi (inclusi gli stablecoins) , invece, l’Europa dei 27 propone “a bespoke regime. The proposed regulation sets strict requirements for issuers of crypto-assets in Europe and crypto-asset service providers wishing to apply for an authorisation to provide their services in the single market. Safeguards include capital requirements, custody of assets, a mandatory complaint holder procedure available to investors, and rights of the investor against the issuer. Issuers of significant asset-backed crypto-assets would be subject to more stringent capital requirements, liquidity management and interoperability requirements”.
Il terzo pilastro, infine, parte dal presupposto che “the ever-increasing dependency of the financial sector on software and digital processes means that information communication technologies (ICT) risks are inherent in finance. The Commission therefore proposes that all firms ensure they can withstand all types of ICT-related disruptions and threats. Banks, stock exchanges, clearinghouses, as well as fintechs, will have to respect strict standards to prevent and limit the impact of ICT-related incidents. The Commission also sets an oversight framework on service providers (such as Big Techs) which provide cloud computing to financial institutions”.
Nell’insieme, almeno a parere di chi scrive, il Digital Finance Package va sicuramente salutato con favore in quanto la certezza del diritto è una precondizione essenziale per poter costruire un mercato che sia generativo di valore sia per le imprese e sia per i consumatori: in tal senso, se fosse ing rado di replicare il ruolo svolto in materia di protezione della privacy con il GFPR, la UE avrebbe le potenzialità di svolgere un ruolo trainante nell’ambito del fintech, anche se non dispone di un settore hi-tech come la Silicon Valley né di mercati finanziari che possano vantare una capitalizzazione come la borsa di New York o di Hong Kong.