Un’arma nucleare è così distruttiva da annientare tutto ciò con cui entra in contatto. La sua capacità distruttiva si misura nella sua forza di cancellazione di intere città e costituisce da molti decenni una grave e costante minaccia per la vita di milioni di persone, proiettando la sua ombra sinistra sulle generazioni future. Allo stesso tempo, la sola esistenza di armi nucleari comporta la necessità, anzi l’obbligo per noi tutti, di riflettere sulle catastrofiche conseguenze a lungo termine che colpirebbero la nostra specie e il suo ambiente.
Al giorno d’oggi, 9 paesi rientrano nel cosiddetto “Nuclear Club”. Tuttavia, nonostante il Club includa Gran Bretagna, Francia, Israele, Pakistan, India e Corea del Sud, ad avere il primato del possesso del 90% delle testate nucleari mondiali sono Stati Uniti e Russia. Stabilire l’esatto numero di testate nucleari esistenti è piuttosto complicato, in quanto ogni Paese tende a tener segreta tale informazione per ragioni di sicurezza. Nonostante ciò, si stima che 30.000 testate nucleari (dopo lo smantellamento) possano rappresentare la dotazione attuale a livello mondiale. Questi ordigni sfruttano una reazione nucleare per generare un’esplosione, attraverso la quale vengono rilasciati quattro diversi tipi di energia. Il primo è il bagliore intenso, il secondo è il rilascio di un immenso calore, il terzo è l’emissione di grandi radiazioni, infine il quarto è rappresentato dall’impressionante onda d’urto. Subito dopo, l’aria calda sale verso l’alto ed evapora, creando una nube a fungo (il “fungo atomico”), composta da sostanze che ricadranno al suolo sotto forma di pioggia radioattiva.
Tra le armi nucleari, si possono annoverare differenti ordigni, regolati da distinti meccanismi. Rientrano dunque nella categoria di ordigni non solo le bombe atomiche, ma anche i missili balistici intercontinentali, in grado di coprire una distanza di 5.400 Km. Ad inventare la bomba atomica sono stati gli USA, che nel 1945, completarono con successo il primo test sull’esplosione nucleare. Nello stesso anno, il presidente Harry S. Truman diede l’ordine di sganciare le bombe atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, causando la morte di oltre 200.000 persone. L’esplosione, che segnò la fine della Seconda Guerra mondiale e di fatto il primo seme della successiva Guerra Fredda tra USA e Russia, mise in luce non solo la potenza della bomba atomica, ma anche la supremazia degli Stati Uniti rispetto agli altri Paesi che ancora non controllavano la tecnologia atomica. Da allora partì la corsa agli armamenti che vide l’Unione Sovietica (URSS), Gran Bretagna, Francia e Cina impegnati nel condurre i propri test nucleari e nell’accumulo di riserve di armi nucleari. Al termine della Guerra Fredda, negli anni Novanta, si contavano dunque 70.000 testate nucleari.
Negli anni che seguirono, le Nazioni Unite svolsero un ruolo fondamentale, introducendo trattati che promuovessero il controllo sulle armi nucleari e frenassero il loro incremento. Nel 1968 venne firmato il Trattato di non-proliferazione, intorno al quale, negli anni, si è venuto a formare un consenso generale delle cancellerie mondiali. E infatti, fatta eccezione per il Sudan del Sud, Israele, Pakistan, India e Corea del Nord quasi tutti i Paesi del mondo fanno parte del Trattato di non-proliferazione. A seguito di queste politiche promosse dall’ONU e implementate dagli Stati membri attraverso programmi di smantellamento, dopo la Guerra Fredda il numero di testate nucleari diminuì notevolmente. Allo stesso tempo, però, potenze come gli Stati Uniti e la Russia continuano ancora oggi a investire ingenti risorse nell’aggiornamento del proprio arsenale nucleare. Si stima infatti, che tra il 2019 e il 2028, gli Stati Uniti arriveranno a sostenere una spesa di 494 miliardi di dollari per la modernizzazione di sottomarini, missili balistici, e testate nucleari.
Ora siamo in piena guerra in Ucraina e c’è solo da sperare che non si arrivi ad un punto di non ritorno, una condizione che si deve scongiurare ad ogni costo.