In libreria dalla prossima settimana il libro di Michele Mezza “Il Contagio dell’Algoritmo – Le Idi di Marzo della Pandemia”, con al centro l’intreccio fra virus e calcoli nella Democrazia in quarantena.
Il libro di Michele Mezza sarà presentato online il prossimo mercoledì 30 settembre alle ore 14,30 sui canali social di key4biz.
Insieme all’autore ne discutono:
- Raffaele Barberio, direttore di Key4biz,
- Cinzia Maiolini, responsabile industria 4.0 della CGIL
- Gianluigi Caldiera, senior data scientist KBR Space and Mission Solution, in collegamento da Washington.
- Coordinerà Arturo Di Corinto, giornalista e docente alla Link University di Roma.
Ne anticipiamo qualche stralcio tratto dalle conclusioni del libro.
«Potrebbe accadere che sulla pressione di un’emergenza drammatica, ancora più estesa di quella che abbiamo visto flagellare la Lombardia, e colpire spietatamente città e vallate, con centinaia e centinaia di morti, si impongano poteri esterni al recinto democratico, privi di ogni rappresentatività, espressioni di una paura senza limiti e di una ricerca di sicurezza prima ancora che di salute.
Un potere ancora più totalizzante e inaccessibile di qualsiasi Leviatano statale, di qualsiasi minaccia autoritaria: il potere dei numeri.
Abbiamo infatti visto per tutto il nostro testo come il calcolo abbia preso il sopravvento sulla medicina dando un senso alla visione di Paolo Giordano che nel suo libro Nel contagio, come abbiamo ripetutamente ripreso nei capitoli precedenti, ci dice che «le epidemie, prima ancora che emergenze mediche, sono emergenze matematiche». Il dominio degli indicatori numerici, dei sistemi matematici, degli algoritmi semantici è oggi indiscutibile nel tentativo di precedere e non rimanere schiacciati dal contagio.
Lo ha colto bene nella sua Prefazione Enrica Amaturo: la sanità è diventata calcolo. Sono i numeri che hanno governato il paese, legittimando e autorizzando decisioni e strategie, ma senza ben documentare e tantomeno indicare da quale fonte provenissero, da quale logica fossero dedotti. Numeri senza numeratori, si potrebbe dire.
Ma oggi questo modello numerico sta sostituendo il linguaggio naturale, spostando in sedi opache il centro di governo reale, in virtù di una forza assertiva, di una potenza di rassicurazione che ormai la politica, comunque le procedure pubbliche, sembrano aver perso. «Lo dicono i dati» ha sostituito il vecchio «l’ha detto la Tv». Quali dati, e come organizzati e combinati?
Andrea Crisanti, il microbiologo che ha salvato il Veneto, prevedendo con un uso oculato delle informazioni il ciclone che si stava abbattendo sul paese fin da gennaio, prestandosi poi all’intero paese per fronteggiare l’autunno caldo della malattia, nel suo contributo che ci ha proposto spiega bene come questi dati debbano rispondere a una logica e a una pretesa organizzata, che non si limita semplicemente alla catalogazione di valori – quanti contagiati e dove –, ma deve integrare informazioni involontarie, quali quelle rintracciabili sulle piattaforme di Google e Facebook che non hanno reso disponibili i loro preziosi data base, anche perché nessuno ha avuto in Europa l’ardire di chiederglieli.
I dati contano, ma non sono infallibili, e gli algoritmi che li organizzano non sono risolutivi, e tanto meno automatici. Giorello conosceva bene questa illusione. In una prefazione a un mio precedente libro, Algoritmi di libertà, scriveva: «si potrebbe sperare, ingenuamente, che ogni risultato della matematica sia riconducibile, almeno teoricamente, a un opportuno algoritmo”. “Ma questa speranza è sbagliata – aggiungeva citando il testo Algoritmi (Mulino, bologna2015) di C. Toffalori –. Esistono problemi senza soluzione.
Ad attestarlo è il titolo stesso dell’articolo del 1936 di Alan Turing che recita […] Sui numeri calcolabili, con un’applicazione al problema della decisione». Questa cautela dovrebbe oggi aiutarci a salvaguardare un approccio laico rispetto alla nuova teologia dei numeri, proprio quando questa tende a insinuarsi in quello spazio decisivo che separa la salvezza dalla morte di ognuno di noi. Perché se è vero che, come scriveva fin dal 1911 il padre degli epidemiologi moderni, Ronald Ross, «gli specialisti commetterebbero meno errori grossolani (per esempio in fatto di malaria) se fossero più attenti agli aspetti matematici della disciplina [l’epidemiologia], oggi questa identificazione è diventata una schiavitù: l’algoritmizzazione della nostra vita, secondo l’espressione di Ivan Illich che abbiamo ricordato all’inizio del nostro libro, consegna ai misteri di pochi centri globali l’elaborazione esclusiva di una massa di dati che sono in grado di azzerare ogni incertezza e variabilità dei nostri comportamenti, permettendo a pochi gruppi proprietari di poter disporre di ogni informazione in maniera predittiva ed esclusiva.
Con la sua consueta e accessibile lucidità, il premio Nobel dell’economia, Joseph Stiglitz, nel suo ultimo testo ‘Popolo, potere e profitti’ (Einaudi, Torino 2020) bene identifica questo strapotere da parte dei controllori degli algoritmi di gestione dei big data scrivendo: «Poiché l’intelligenza artificiale e i megadati consentono alle aziende di stabilire qual è il valore che ciascun individuo attribuisce a diversi prodotti e che è quindi disposto a pagare, essi danno a queste aziende il potere di discriminare i prezzi, facendo pagare di più a quei consumatori che attribuiscono maggior valore al prodotto o che hanno meno opzioni.
La discriminazione di prezzo non solo è scorretta, ma danneggia l’efficienza dell’economia». Siamo dinanzi alla dittatura del cosiddetto doppio testo, come lo definisce nel suo saggio ‘Il capitalismo della sorveglianza’, Shoshana Zuboff, che abbiamo richiamato ripetutamente nei nostri ragionamenti, che ci spiega come ogni nostro atto, persino l’ammalarsi e il morire dobbiamo constatare con l’esperienza di questi mesi del 2020, sia usato per costruire il potere del secondo testo, il flusso di dati e di metadati che rilasciano, per ogni nostra azione consapevole o involontaria, appunto il primo testo.
Questi dati sono il vero fine di ogni strategia, anche sanitaria, anche terapeutica, in cui si cura per estrarre informazioni. Il rifiuto di Google e Facebook di rendere accessibili i propri data set in cui milioni di portatori di infezioni, nei mesi precedenti al picco del contagio, avevano depositato preziosi indizi della diffusione del virus, ci dice quali gerarchie oggi ormai prevalgono rispetto all’interesse pubblico, e quali subalternità, istintive addirittura, automatiche, impediscano, a governi che non dovrebbero subire il richiamo delle aristocrazie finanziarie, di disturbare questi potenti del calcolo a cui non si contesta di detenere patrimoni del tutto illeciti come sono la combinazione e la rielaborazione di informazioni che nessuno di noi ha autorizzato, quand’anche qualcuno possa aver concesso la liberatoria a detenere – appunto a conservare, non ad attivare – i nostri dati.
Ma quanti morti ci vogliono per poter dissaldare questi caveau? Cosa deve ancora accadere per rovesciare questa piramide che sta soffocando ogni potenzialità liberatoria delle relazioni digitali? È davvero lo Stato, come ha pure indicato Giorello, il macigno che incombe sulle nostre vite? O, proprio come la pandemia, con il suo strascico di sorprese e di imprevedibilità del virus, ci ha dimostrato, non siamo oggi sottoposti a un potere inviolabile quale quello degli algoritmi proprietari?».