Il calcio non ha soldi. Viste le cifre che girano quando si parla di stipendi dei calciatori, può sembrare un controsenso, e in parte lo è; ma il clamoroso flop del progetto Superlega di qualche settimana fa ha rivelato anche a chi non segue con grande interesse i fatturati dei top club europei una situazione finanziaria tutt’altro che rosea.
La pandemia ha azzerato per più di un anno gli introiti provenienti dai biglietti per lo stadio, oltre a rendere incerto tutto l’ambiente: partite rimandate o non giocate per mesi, tornei internazionali (come gli Europei, che inizieranno tra poco) slittati all’anno successivo, competizioni giocate con il Covid come ospite sgradito (l’ultimo caso è quello dell’incredibile impresa del River Plate di Marcelo Gallardo, che in Copa Libertadores ha battuto il Santa Fe senza avere riserve in panchina né un portiere tra i pali, ma un centrocampista riadattato, proprio a causa del virus).
Insomma, il calcio era una macchina da soldi che si reggeva però su equilibri molto precari, sia a causa di gestioni non sempre ottimali che dei salari altissimi percepiti dai calciatori, ma anche per la questione della Champions League e dei milioni di euro che frutta la sua partecipazione, tali da fare tutta la differenza che c’è tra una società sana e una sul punto di fallire. Il coronavirus ha alterato questo gioco rischioso fino a non renderlo più sostenibile, e molti tra i maggiori club del mondo hanno dovuto fare i conti con perdite di centinaia di milioni.
I calciatori, i nuovi influencer
A prescindere dal volto che prenderà il calcio mondiale nei prossimi anni in termini di leghe, superleghe, competizioni nazionali e internazionali, è indubbio che bisognerà guardare in nuove direzioni, che non coinvolgano per forza lo stadio e rendano il prodotto appetibile anche per le generazioni più giovani, sempre meno interessate a partite poco spettacolari, troppo lunghe o senza campioni protagonisti sui social.
Per questo Internet mobile (su SOSTariffe.it si possono trovare le offerte più convenienti attualmente sul mercato) giocherà un ruolo più importante, e già lo fa: lo smartphone come sostituto della tribuna, dei distinti o della curva non è solo una distopia per gli amanti del calcio “di una volta”, ma un presente che già fa sentire la sua importanza. In primo luogo per i calciatori stessi, che al lavoro sul campo hanno sempre più aggiunto anche quello di influencer: da colossi come Cristiano Ronaldo, una vera multinazionale concentrata in una persona che usa Instagram non solo per mostrare la sua forma fisica più che invidiabile, ma anche per mostrare i prodotti dei suoi sponsor, ai calciatori la cui fama non è ancora paragonabile ma che sono letteralmente cresciuti coi social, lì si esprimono e lì possono trovare la strada per spiccare anche per motivi non solo legati alla propria resa sul campo: non si contano, ormai, i like galeotti dei campioni ai post della squadra verso cui all’insaputa di tutti stanno per trasferirsi (il famoso “indizio social”), gli scontri con i tifosi inferociti per una brutta prestazione nelle varie sezioni dei commenti, i video esclusivi degli allenamenti o che mostrano le splendide residenze degli sportivi.
Ma l’economia mobile è soprattutto un modo per far quadrare il bilancio – o renderlo meno preoccupante – per i top club: secondo una ricerca di App Annie, inoltre, può essere il modo per fare breccia anche lontano dall’Europa, dove il pubblico è più freddino o disinteressato o, nel caso dell’Asia, sta cominciando ad appassionarsi ai campionati del Vecchio continente e rappresenta un bacino potenziale di utenza da capogiro.
Calcio: le app di Chelsea e Manchester United in cima alla classifica
Nella classifica degli utenti attivi sulle app ufficiali delle squadre tra maggio 2020 e aprile 2021, al primo posto c’è – senza troppe sorprese, considerando che si tratta della squadra con il più alto fatturato al mondo, a dispetto dei risultati sportivi di recente non troppo esaltanti – il Manchester United, seguito dal Chelsea e dal Bayern Monaco. Subito dopo il podio c’è il Barcellona e la prima delle italiane, l’Inter, subito prima del Milan e del Porto. A concludere la classifica delle top ten mondiali ci sono la Juventus, l’Arsenal e l’Ajax. Colpisce l’assenza di squadre come il Real Madrid, il Manchester City o il Liverpool, che evidentemente perseguono (almeno per ora) strade meno basate sull’economia mobile, ma la questione riguarda anche la natura delle app ufficiali.
Ognuna infatti ha la sua personale “ricetta” per creare engagement, oltre ai contenuti di base che non possono mai mancare (le news della squadra, i video degli allenamenti, le formazioni che scenderanno in campo e così via): quella del Chelsea offre funzionalità come la live chat, che permette di entrare in contatto con altri tifosi dei Blues durante i match, e le previsioni sull’andamento della gara, mentre quella del Manchester United offre diverse curiosità sulla squadra.
E poi ci sono le sponsorship incrociate, come quella con Deliveroo: secondo App Annie, l’8% degli utenti del servizio di food delivery stavano usando anche l’app ufficiale della Premier League, 3,6 punti percentuali in più rispetto alle altre app che offrono un servizio simile in Inghilterra, a dimostrare quanto sia importante per i grandi marchi legarsi ai campionati più seguiti, come appunto quello britannico.
Lo scenario muta costantemente. Arrivano nuovi social, altri scompaiono. Lo United, ad esempio, ha fatto sapere di essere passato da 0 a due milioni di follower su TikTok nel giro di sei mesi. Poiché la ricerca di App Annie mostra anche un altro dato interessante – e cioè che gli utenti più attivi con l’app della Premier League presa in esame sono potenzialmente attivi anche in quelle di altri sport, come la Formula 1 (un incrocio numericamente più cospicuo, per capirci, di quello tra la stessa app della Premier quella della UEFA Champions League) – è facile immaginare che molti altri club, anche chi per tradizione difficilmente punta su questo genere di innovazioni, adotteranno un modello di business digitale che strizza l’occhio alle nuove generazioni e ai dispositivi mobili. Altrimenti le guerre intestine nel mondo del calcio sono tutt’altro che destinate a terminare.