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Il 6G è alle porte

Mi è stato chiesto di illustrare le prospettive del 6G durante il convegno 5G&Co organizzato dal CNIT in collaborazione con Key4biz a metà aprile. Ho esordito dicendo: “il 6G è alle porte; non sarà che con i ritardi che il 5G continua ad accumulare, arriverà prima il 6G”? Certamente, era una provocazione. Ma nascondeva un ragionamento.

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Come sottolineato da Pietro Labriola, neo-rieletto Amministratore Delegato di TIM, che ha parlato poche ore prima al medesimo convegno, l’accento posto sul B2B piuttosto che il B2C ha prodotto grandi ritardi nello sviluppo del 5G; ciò, ovviamente, nel quadro complessivo di crisi finanziaria e di difficoltà degli operatori Nazionali (e non solo) ad investire.

5G al rallentatore

In effetti il 5G, nel panorama storico dell’evoluzione delle reti radiomobili dal 2G in poi, si è caratterizzato per l’orientamento verso servizi B2B, in particolare in settori industriali come quello della meccanica e dell’automazione. Tuttavia, l’inerzia che li caratterizza (rispetto alle dinamiche delle telecomunicazioni), oltre alle difficoltà connesse agli accresciuti rischi di cybersicurezza, ha molto rallentato lo sviluppo di reti 5G in tali ambiti. Inoltre, i requisiti delle applicazioni industriali impongono spesso livelli di affidabilità delle connessioni e tempi di risposta (latenza) della rete prevedibili solo con la versione URLLC del 5G, tutt’ora non disponibile. In aggiunta, il tentativo di proporre il 5G come sistema per applicazioni di Smart City si è scontrato con la disponibilità di altre tecnologie di connettività molto più economiche ed utilizzabili in molti casi; senza peraltro tener conto delle scarse capacità di investimento anche delle pubbliche amministrazioni.

Il B2B finora ha tradito gli operatori

Insomma, il B2B ha sin qui ha tradito gli operatori in molti ambiti applicativi. Nel frattempo, la disponibilità di una rete 4G matura, non satura, non ha generato negli utenti umani la percezione della utilità di una nuova rete (il 5G). Utenti che, peraltro, godono di tariffe così straordinariamente basse da non alimentare un processo di innovazione tecnologica.

Il problema è italiano, ma non solo. Molti, in giro per il mondo, cominciano a riferirsi alla “maledizione dei numeri dispari”: il 3G non ha avuto il successo sperato ed è stato soppiantato dal 4G; non succederà lo stesso al 5G, con l’avvento del 6G? Il rischio è reale, soprattutto se la sesta generazione si proponesse in continuità tecnologica rispetto al 5G. Tecnologica, ma non in termini di servizi offerti.

6G in fase di definizione

Il processo di definizione del 6G si avvierà tra pochi mesi, nell’ambito del 3GPP, l’organismo di standardizzazione preposto al suo concepimento. E’ previsto che entro il 2029 si concluda. In alcuni Paesi, come negli Emirati Arabi, si presume di effettuare il roll-out prima del 2030.

Il 6G, molto probabilmente, si proporrà come tecnologia abilitante per quelle applicazioni B2B in cui il 5G ha accumulato ritardi, magari con prestazioni migliori e costi tecnologici inferiori. Il che potrebbe rallentare ulteriormente l’investimento in reti 5G per gli ambiti industriali, del manifatturiero. Nel frattempo, la maturità tecnologica che alcune applicazioni potrebbero raggiungere nella seconda metà di questo decennio, come quelle connesse al metaverso ed alla realtà aumentata, potrebbe generare nuovi servizi ed una rinnovata domanda di B2C.

Insomma, il 6G potrebbe proporsi con un bouquet di servizi più equilibrato tra B2B e B2C, così da garantire diversi modelli di sviluppo più sostenibili. Ed avere successo anche grazie ai ritardi accumulati dal 5G.

Occorre tuttavia che, in attesa di tutto ciò, lo straordinario patrimonio di competenze e capacità degli operatori sul suolo nazionale non venga disperso, frammentato a causa della crisi finanziaria in cui versano. Per questo, occorre una cabina di regia Nazionale cui solo il Governo del Paese può dare origine.

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