“La barba è un peso superfluo”: così recitava il gettone motivazionale che veniva consegnato a chiunque si fosse messo in pari con la tassa sulle barbe.
Il motivo? Presto fatto, bisognava occidentalizzare il popolo delle steppe. Un cirillico profilo, ma a mento liscio, avrebbe trasmesso un’idea di freschezza degna dei migliori salotti europei; ed era a questi che lo Zar – speranzoso – anelava. Esentasse erano monaci e contadini, per tutti gli altri, o il taglio o il dazio. L’imposta sarà abolita solo nel 1772, e meno male, perché, di lì a poco, sarebbe stata irrimediabilmente compromessa una questione di identità nazionale.
Provate a figurarvi Dostoevskij, Čechov e soprattutto il buon vecchio Tolstoj senza barba. Sarebbe come pensare a Oscar Wilde vestito male (tanto per citare uno che sarebbe sicuramente entrato nelle grazie di Pietro il Grande).
Davvero impossibile recidere una certa idea di immagine letteraria. Perciò, diamo un taglio alla questione, in barba alla tassa.