L’UNESCO celebra il Jazz solo dal 2012. Troppo poco; per questo oggi vogliamo ricordare l’anno di un deciso cambio di passo, il 1969.
“La musica jazz sembrava non andare più di moda alla fine degli anni sessanta (…). Per me quello fu un segno”. Sono le parole di Miles Davis che, nello stesso agosto di Woodstock, si chiude in studio per incidere “Bitches Brew”. Furono 3 giorni di pura improvvisazione.
Questa pozione di fusion e psichedelia fece forse perdere a Davis qualche buontempone del classico bebop: lui voleva entrare a gamba tesa nell’ ‘altro’ universo, quello che ammirava per pubblico e palchi. E ci riuscì. Non erano più i tempi di “Broadway Boogie Woogie” e “Bitches Brew” portò il jazz nel rock; come vendite, sarà secondo solo a “Kind of Blue”, considerato da molti il suo capolavoro.
Miles Davis è stato più volte paragonato a Picasso; a parte la curiosa coincidenza dei periodi blu, lui stesso affermò di aver cambiato genere musicale almeno 5 o 6 volte.
Poco male se ha tirato fuori album sempre sartoriali, cuciti perfettamente su di lui e sui musicisti che sceglieva di volta in volta.