“Naja” è una parola gergale, di origine veneta, che indica prima razza e poi “genia”: allude al disprezzo per alcuni oneri del servizio militare, imposti dalle varie gerarchie.
Ci si pensa poco, ma la leva obbligatoria, nata nel 1861 con il Regno d’Italia, ha innescato i primi incontri ravvicinati del terzo tipo tra i perfetti sconosciuti di un Paese appena unito. L’italiano? Non pervenuto. Ma c’erano i dialetti – veraci – e dal loro incontro è nato un minestrone linguistico che ha del succulento. Uno studioso ha raccolto un glossario di espressioni rintracciate nel 1918 dentro le trincee della Prima Guerra Mondiale: qui il “capellone” era la recluta, mentre “far le scarpe” o “alzare i tacchi” sono espressioni che non hanno bisogno di esser tradotte.
Se il “mangiafirme” era il sottufficiale, la parola “mangiasego” si riferiva invece al soldato austriaco, per il largo uso di questo grasso animale nella cucina di Vienna e dintorni. E gli italiani, come riempivano lo stomaco sotto la leva? “Sbobbavano” a quanto pare, a indicare un cibo insipido e senza pretese. Che abbiamo cercato di rendere con questo scatolame che si avvia, a sua volta, verso la rottamazione.