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Il 28 dicembre 1946 c’è l’esordio di “Don Camillo e Peppone”

Luigi Meneghello è uno degli scrittori più sconosciuti, ma anche più brillanti del suo tempo: veneto della provincia, dopo la guerra va in Inghilterra e lì, alla giusta distanza, si dedica allo studio della sua lingua. È più o meno lo stesso periodo in cui Giuseppe Guareschi iniziava a pubblicare su il «Candido, settimanale del sabato» le storie di Don Camillo e Peppone. Anche qui la cornice era quella della bassa; le vicende, quelle che conosciamo.
 
Però, oltre a queste figure in primo piano, chi ha mai rivolto l’attenzione verso lo sfondo? Immaginiamo di guardare un Giuseppe Pellizza da Volpedo, però per una volta a cuor leggero. Luigi Meneghello descrive quelle persone con una parola che rende solo in dialetto, ed è “bisogna”: bisogna lavorare, “bisogna èssare bòni” (sintesi di filosofia morale) e molti altri bisogni ancora.
 
Eppure, che importa? C’erano le biciclettate sul Po, la festa del patrono e il vino dell’oste sempre buono. Tra il bisogno di tirar la cinghia, queste figurine in bianco e nero sapevano come chiudere il cerchio.

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