Si narra che Teseo si preparò ad affrontare il Minotauro mangiando tarassaco per trenta giorni di fila. Peccato, però, che sia stato un soggetto di così poco successo nelle rappresentazioni di questo eroe: vediamo sempre Teseo irretire (e poi abbandonare) Arianna, uccidere il mostro, contro le Amazzoni. E così via.
In modo più o meno simile, si è volatilizzata anche la vicenda di Stanislav Petrov. Siamo in una sera di settembre del 1983 e l’URSS è in un momento di grave debolezza: basti solo dire che il presidente in carica, Andropov, governava la nazione dall’ospedale. Alle 00.14 arriva il seguente messaggio: “Missili americani in arrivo. Colpiranno il territorio dell’Unione Sovietica fra 25/30 minuti”. Petrov avrebbe dovuto avvertire i suoi superiori e svegliare il presidente nel reparto di geriatria, così da valutare la possibilità di un eventuale contrattacco. Invece, da analista, non esecutore, si fece venire un ragionevole dubbio: come poi si scoprì, il sistema era stato ingannato dai riflessi di luce sulle nuvole. La carriera di Petrov, però, non arriverà mai così in alto, anche se la sua fermezza ha permesso di sventare una non remota ipotesi di rappresaglia nucleare. Questa vicenda rivelava infatti due falle nel sistema sovietico: la prima, un ufficiale che non aveva seguito il protocollo; la seconda, un debug dei radar. Fu così che venne chiusa in cassaforte, insieme alla carriera dell’ufficiale.
Ci consola sapere che, in quella sera, in Petrov si era forse condensato il desiderio di un’intera umanità: il soffio collettivo su un soffione.