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All’inizio di ogni nuovo anno accademico all’Università di Athena, il professor Coleman Silk spiegava ai suoi studenti che tutta la letteratura europea ha origine da una lite per il possesso di una donna. Ecco perché, nei primi versi de l’“Iliade”, Omero chiede alla musa di cantargli l’ira di Achille.
Prendiamo in prestito l’incipit di un romanzo di Philip Roth (“La macchia umana”, Einaudi, 2000), perché ci sembra che provochi abbastanza stridore parlare della violazione di un diritto umano (così come è derubricata la violenza sulle donne dall’ONU), e constatare che è un fatto ratificato nella cosiddetta culla della civiltà.
Eugenio Montale, in tutt’altro contesto e a distanza siderale, si chiedeva se la foglia secca fosse più vera del fresco germoglio. Il dubbio lo lasciamo al poeta; noi abbiamo la certezza che la violenza contro le donne sia un segno indelebile che fa appassire il senso stesso della vita. Speriamo che in futuro il prossimo Omero (o Omera, chi lo sa), potrà cantare alla sua diva di averla estirpata, questa macchia umana.