Sulla facciata di un noto palazzo romano c’è scritto che gli italiani sono un popolo di santi, poeti e navigatori. Allo stesso modo, sul “Monumento alle Scoperte” di Lisbona ci sono Vasco da Gama e Bartolomeo Diaz. E i poeti? In rappresentanza abbiamo un ‘certo’ Luís Vaz de Camões che ha creato il mito del navigatore, capace di un’impresa come doppiare il Capo di Buona Speranza, con il favore dei monsoni.
Eppure, se Vasco da Gama al ritorno in patria venne effigiato del titolo di “dom”, divenne viceré dell’India e poté confidare in anni di giuggiole e onori, la stessa cosa non accadde al letterato. Del destino dei poeti ce ne parla proprio il Nobel della letteratura portoghese José Saramago, tra il disperato e l’ironico. Nella commedia “Cosa ne farò di questo libro?” ci racconta che Luís Vaz de Camões, dopo diciassette anni tra India e Mozambico, torna entusiasta in patria, per far conoscere la sua opera; si scontra però con il disprezzo degli ignoranti e l’indifferenza del re (lo dice lo stesso Saramago nel discorso al Nobel). Sta di fatto che il poema di Camões (“Os Lusíadas”) diventerà l’“Eneide” del Portogallo: ecco il motivo per cui, anche un improduttivo letterato, si è conquistato il suo posto nel monumento sull’Oceano.
Sotto il faro dei vittoriosi, c’è sempre un’altra vicenda che se ne sta incollata nell’ombra. Ma questa storia ci insegna anche che la speranza, per tutti i poeti, è davvero l’ultima a morire.