Chiunque abbia visto il film “The Founder” ne ricorderà la battuta finale: i due fratelli McDonald, ormai spodestati anche dell’insegna, chiedono a Ray Kroc: “Avresti potuto copiare tutto, perché siamo arrivati a questo punto?” E lui risponde: “L’unica cosa che non potevo avere era il vostro nome”. Quel “McDonald” era tondo, corale e a stelle e strisce: conteneva, insomma, tutti gli attributi dell’America.
In maniera forse non troppo lontana, negli anni ’80 Carlo Petrini intuisce che la disputa sul cibo doveva essere nella stessa lingua del nemico. Del resto, di guerra si trattava e il piemontese si convince che questa non poteva rimanere “una questione privata” (com’è il titolo del romanzo di un altro cittadino onorario delle Langhe, Beppe Fenoglio).
Dal 1986 in poi, infatti, la parola Slow Food è diventata il naturale contraltare al cibo ‘fast’: ne soppesa le considerazioni di carattere economico e sociale; forse anche le calorie. I latini dicevano “festina lente”, e visualizzavano questo concetto dell’affrettarsi con lentezza attraverso una tartaruga o una chiocciola. Alla fine, come il lievito, facciamo tanti giri intorno al globo per tornare sempre alla nostra lingua madre.