Uno dei gesti assolutamente proibiti nella lotta greco-romana è stringere l’avversario al collo: viene chiamata la mossa della “cravatta”. E la nostra protagonista di oggi, se potesse parlare, ce ne racconterebbe forse parecchi di colpi bassi, inferti e incassati: la presunta connivenza con gli ufficiali tedeschi durante l’occupazione della Grecia, quegli incontri sentimentali (necessari quanto sbagliati), prima con l’impresario Giovanni Battista Meneghini, poi con Aristotele Onassis). E, non ultimo, Pier Paolo Pasolini che in “Medea” le taglia a sua insaputa la voce parlata, dando alle sale un film doppiato e muto.
A un certo punto, anche il nastro delle sue corde vocali subisce uno strappo da cui, purtroppo, non si riprenderanno mai. Quello che però è riuscito a compiere questo “soprano drammatico di coloratura” negli anni d’oro (dal ’52 al ’57), è un qualcosa che ancora attende un erede. La Callas aveva una voce corposa e scura, capace di balzi inarrivabili: non lo diciamo noi, o la critica, ma l’orecchio del pubblico che ancora oggi riempie con commenti in tutte le lingue i video delle sue esibizioni su YouTube.
Maria Callas si spense nel 1977 da sola, a Parigi; le sue ceneri furono disperse nell’Egeo. Questo fiore, non sarà certo la “sacra pianta” che cantava nella “Norma”, ma sicuramente è la forma più originale in cui può sciogliersi la cravatta di tanti colpi bassi.