Se c’è una parola bandita dal dizionario friulano (cosa non da poco, visto che è uno dei pochi dialetti italiani a vantare lo status di ‘lingua’), questa è Tocai, un vino in cui si rispecchiava un’intera comunità.
All’origine di questo ritiro forzato c’è un’assonanza con un vitigno ungherese. Così, la Commissione Europea ha deciso che l’ultima vendemmia italiana del “Tocai” sarebbe stata quella del 2008; dopodiché, i tini avrebbero ribollito solo di “Friulano”. L’antichissimo Tokaji ungherese, dal canto suo, è un vino sì bianco, ma dallo spiccato carattere liquoroso, molto diverso dal tono secco e mandorlato di quello italiano. Difficile confonderli, dunque. Il riscatto, probabilmente, arriverà in un futuro abbastanza prossimo: pur se de-nominata, il Friuli Venezia Giulia è la nursery del vino, perché produce l’80% delle barbatelle italiane, il 30% dell’Unione Europea e il 25% di quelle del mondo.
Ciò non toglie che alcune decisioni prese dall’alto sembra che ci cadano addosso come biglie impazzite; ma “quella che chiamiamo rosa, con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo” ci dice William Shakespeare (e no, non quello ungherese).