La giovinezza di Pietro Gentilini è di quelle che ha dell’avventuroso. Lascia presto l’Appennino Emiliano per intraprendere il viaggio del migrante con la valigia in mano: la sua destinazione è l’America Latina. Probabilmente ha toccato il Brasile, l’Uruguay e l’Argentina, e sappiamo che rimase molto affascinato dalle immensità pluviali di quelle terre. Ci viene il dubbio, però, che sia stato in contatto anche con qualche sciamano. Come avrebbe potuto, altrimenti, fondare quella grammatica visiva così speciale? Non ci sembra di peccare d’azzardo, se la riconosciamo come una specie di prozia elegante dello stile che Wes Anderson renderà, poi, così familiare: tutto farcito di zucchero vintage.
Il logo con il treno fatto di biscotti, le scatole di latta (dove erano riposti ancora caldi), un tono di balocchi: era tutto il bagaglio visivo dei “Biscotti Pietro Gentilini” che avevano, in più, il beneficio del gusto.
Il filosofo francese Henri Bergson distingueva il concetto di tempo da quello di durata che, a differenza del primo, non deve fare i conti con nessuna lancetta. Nei 131 anni dalla sua partenza, il treno Gentilini ci ha regalato uno ‘Sweet Express’ che ci riporta, se non in Oriente, ogni volta alla durata infinita dell’infanzia. E anche a quella inconfondibile fragranza.