Per raccontare a distanza di quasi 800 anni una biografia come quella di Federico II di Svevia, ci viene in mente l’amico di Lucio Battisti, quello che in ogni occasione sapeva cosa fare e, cacciavite alla mano, faceva miracoli.
Innanzitutto era un genio: Federico sapeva governare, immaginare edifici (pensiamo solo a Castel del Monte), così come scrivere trattati sui falchi. Ha evitato le buche grazie alla sapiente arte della diplomazia: quando non poté più rimandare la crociata promessa al Papa, invece che guerreggiare scese a patti con il sultano d’Egitto in virtù del fatto che parlava l’arabo. Tra una trattativa e l’altra, filosofeggiava con i dotti islamici, tra lo sdegno degli integralisti di entrambe le parti. In ogni caso, durante il suo regno tutti i cristiani ebbero libero accesso a Gerusalemme. Nel dopolavoro viaggiava anche lui dolcemente: non solo fondando la “Scuola Poetica Siciliana”, ma anche lasciandoci i suoi versi d’amore. Potremmo continuare ancora per molto, ad esempio raccontando di quando, nel 1224, istituì a Napoli la prima università statale per dotare il suo regno di giuristi (sempre di manutenzione si trattava, anche se della macchina pubblica).
Ci fermiamo qui, non nascondendo un po’ di rammarico. Dopo di lui, il Sud non avrà più uno “stupor mundi” (così veniva chiamato) e un sovrano così affezionato. Un po’ più prosaicamente ci verrebbe anche da dire che era cascato a fagiolo, per il Sud e il suo regno…