Le pesche son di destra o di sinistra, verrebbe da chiedersi di fronte al discusso spot pubblicitario della Esselunga di alcuni giorni fa? Interrogativo sbagliato di una tarda estate e di un Governo in calo di consensi? “L’ideologia mediatica della pesca” invade il campo del dibattito pubblico per un innocuo (e per molti aspetti anche innovativo e coraggioso sul piano della “cultura pubblicitaria”) spot televisivo di una nota catena di supermercati del Nord quale è l’Esselunga, leader della GdO nel centro Nord.
A marcare un salto comunicativo forte di questa catena di supermercati che ha sempre frequentato una comunicazione “centripeta” strettamente connessa alle operations e alle politiche di prezzo mai debordante o incline a “facili sociologismi” dei quali spesso la pubblicità di massa si alimenta. Ma che dopo il complesso passaggio generazionale avvenuto nel 2016 con la morte del fondatore Cav. Bernardo Caprotti e l’assunzione del comando da parte della figlia Marina (nata dal secondo matrimonio) ha avuto – potremmo dire – una accelerazione “centrifuga”, aperta e narrativamente più fluida che si addice meglio ad un grande gruppo che ha abbandonato da tempo le tradizionali funzioni logistico-distributive per agganciare la competizione inter-branding e verticali (innovando per primo in Italia con le private lable) tra industria e commercio.
Uno spot che infatti vede protagonista una bambina e una pesca utilizzata per provare a fare riavvicinare (con una piccola bugia) i suoi genitori ormai separati ma – a quanto emerge – anche sereni. Sulla base di alcuni commenti sulla stampa nazionale verrebbe subito da chiedersi se mai esistono bambini che vorrebbero il contrario (e per qualunque tipo di famiglia etero o omosessuale così come per bambini di coppie omo-genitoriali) se non per quei casi drammatici di violenze domestiche dove le prime vittime indifese sono proprio i bambini.
Ci eravamo abituati al messaggio tranquillizzante e piuttosto oleografico del Mulino Bianco della Barilla e dei buoni sentimenti di qualche anno fa dove avevamo come protagonista sempre una bambina alle prese con la protezione di un micetto minacciato da un acquazzone. Ma l’epoca è cambiata e così pure le narrazioni pubblicitarie con una presa di coscienza di molti cambiamenti sociali (oltre che economici e ambientali) soprattutto familiari, da cui derivano i due intensi (e riflessivi) minuti dello spot della pesca con forte capacità narrativa delle trasformazioni della famiglia moderna traguardando alle conquiste del divorzio nonostante le sempre dolorose separazioni soprattutto per i figli di minore età che nonostante tutto domandano sempre un clima sereno e dialogante tra i genitori e inclusività per famiglie che via via si allargano.
Certo non è cambiato l’atteggiamento dei bambini e della loro domanda di amore verso genitori che vorrebbero sempre uniti (con o senza matrimonio, etero o omosessuali). Ma la realtà è un’altra cosa e lo spot non lo vuole negare anzi enfatizza alcuni degli esiti segnalando che l’amore (come la felicità) possono finire ma non anche la forza per ripartire o riprovare che la pesca e la bambina vorrebbero rappresentare con dolce delicatezza (mela o arancia avrebbero avuto altro significato) nell’offerta ad un padre “riflessivo”. Non tanto – si badi bene – necessariamente come domanda di unità della famiglia (che forse non è nell’obiettivo dello spot (nonostante qualche distorsione di una lettura politicamente o culturalmente di parte) ma come domanda di amore, di vicinanza e prossimità, peraltro attraverso l’uso del dono come ponte comunicativo non banale dello spot, ma largamente sottovalutato dai commenti.
L’azienda fa molto bene il suo mestiere rivolgendosi con morbida attenzione alle famiglie e ai bambini e l’agenzia pubblicitaria pure confezionando un racconto accattivante credibile e sostenibile senza infingimenti e senza forzature che certo non può essere accostato a destra o a sinistra, ma semplicemente inietta rassicurazione e serenità nonostante la vaga tristezza meditativa della bambina.
L’uso politico-ideologico lo inforca invece la Premier indicandolo come esempio confermativo delle proprie politiche familiari in una inversione paradossale e con occultamento della realtà, anche personali o della propria comunità partitica, largamente attraversata da separazioni, divorzi, convivenze, infedeltà (più o meno) come nella media della popolazione italiana ed europea di tutte le appartenenze. Questo si in contrasto con l’etica della responsabilità e non equidistante da tutte le ipocrisie zampillanti nella comunicazione pubblica che consiglierebbe ai politici di tenersi lontani da accostamenti spesso scivolosi e ambigui rispetto ad una realtà evolutivamente più dinamica, fluida e sfuggente evitando possibilmente cortocircuiti-boomerang tra politica e pubblicità, qui con una stridente “ideologizzazione della pesca” violando principi fondamentali di igiene distintiva degli ambiti dell’agire comunicativo.
Due ambiti che devono invece tenersi ben distinti e separati data la natura polisemica complessa dei messaggi pubblicitari come già richiamava Umberto Eco molti anni fa seppure in altra epoca geologico-comunicativa. Una distinzione che tale deve rimanere per renderne l’efficacia dal lato dell’attenzione di un’utenza diffusamente trasversale (politicamente e culturalmente come dal lato valoriale in senso stretto) e proprio per evitare intrecci fantasiosi, distorsivi e a rischio di feedback negativi. Soprattutto in quei casi dove quel “messaggio politico” può essere percepito come uno strumento di “distrazione di massa” dai compiti prioritari della politica e/o dei suoi fallimenti, recenti e meno recenti.