Ti seguo, mi segui, ti controllo, ti gratifico o ti denigro marcando il terreno della tua conquista dell’identità di quella valenza affettiva che prima si ricercava timidamente nell’ingresso nel gruppo, nella compagnia del muretto confinata nel tempo e nello spazio della frequentazione vis a vis. Il gruppo oggi si allarga, si espande nella continua e costante presenza online che fa da confine e da tramite alla vita offline intersecandosi in meandri costruttivi identitari di un sé che molto spesso annaspa tra l’essere dentro e l’essere fuori lo schermo.
Schermo che nella sua valenza proiettiva permette di scrivere e nel contempo narrare frammenti di sé, ancora troppo fragili nei giovani, il più delle volte conformati sullo standard idealizzato di quel far tendenza che rassicura e assicura l’appartenenza al gruppo. Frammenti fragili di tanti sé che colorano il caleidoscopio emotivo dello screen dei colori forti della rabbia, della provocazione, dell’invidia, della paura, del timore, dell’angoscia, della solitudine. Polpastrelli delle dita che si fanno veicolo di trasmissione di parti di sé, ancora troppo spesso non conosciute, e che nella trasformazione corporea digitale si tramutano in strutture portanti dei miei timidi/eclatanti passi nel paese dei balocchi quale è, molto spesso, il digitale. Scrivo e immetto parti di me, impronte su impronte che segnano la mia traversata virtuale che in adolescenza soprattutto è volta alla ricerca e alla strutturazione del sé.
Frammenti fragili che si compattano nell’appartenenza di un gruppo sociale infinito, in cui ognuno può immettere la sua voce e unirsi al coro digitale lasciando tracce di sé indelebili nel tempo, in uno spazio che dell’immensità fa la sua attrattiva grandezza. Scrivo di me, narro di me, mi confido, mi confronto, nascondo la mia fragilità, la camuffo, la traduco nella praticità iconica dei nuovi linguaggi e mi strutturo su un asse identitario che oscilla continuamente tra un dentro e un fuori lo schermo che anela coerenza per non correre il rischio di frantumarsi nel gioco degli specchi digitale.
Coerenza interna della mia scrittura digitale, del mio raccontarmi e raccontare, del mio essere e del mio esserci che rimane ad oggi il nucleo fondante di un benessere mentale che regge la prova dei cambiamenti del tempo. Coerenza interna che regge la prova del tempo e non si è fatta stravolgere dalla rivoluzione digitale mantenendo il primato di una traiettoria evolutiva costruita in situ nel cuore e nel vivo delle relazioni affettive.
Così come il bambino impara ad alzarsi in piedi timidamente lanciando occhiate di rassicurazione al genitore nella ricerca di quella sicurezza necessaria per provare a fare i primi passi sul suolo reale delle sue condivisioni ambientali, trasformando il timore in sorriso contagioso, l’adolescente che compie i suoi primi passi nel digitale dovrebbe ricordarsi che l’impronta digitale dei suoi polpastrelli non si cancella, né si cambia prima di essere riconosciuta e sedimentata all’interno del sé.
Nei polpastrelli delle dita c’è la storia di ognuno, l’appartenere a sé stessi, prima di trasmettere parti di sé agli altri, quel conoscerci e riconoscerci che ci permette di conoscere e riconoscere l’altro in termini di aspettative e previsioni reali che trasformano fragilità in veri pilastri identitari.
Coerenza interna che non permette la duplicità di ruoli in cui l’offline è in antitesi, o viene camaleonticamente edulcorato, con l’online. Facciate identitarie che confondono ed allontano le nuove generazioni che inseguono la chimera della crescita senza tormenti, sforzi, avanzate e ritirate, sconfitte e vittorie, che permettono di correre verso i traguardi che ognuno, nel proprio frammento di vita, desidera raggiungere.
Non si può essere criminali nella vita e cercare compartecipazione mediatica, non si può essere eroi e nel contempo vittime, serve ed è necessaria sempre coerenza interna e asse identitario che si raggiunge non avendo timore di guardarsi dentro, di scoprire errori e di comunicare errori prima di compiere errori.
L’impronta reale non si cancella nel digitale, può essere camuffata nella spinta imitativa delle fake news, ma conserva il suo incipit costitutivo alla base della personalità di ciascuno.
L’online non cancella, né giustifica le azioni offline. Le azioni offline rimangono tali sempre e sempre comunicano qualcosa.
Serve ed è necessaria la coerenza, nel bene e nel male e soprattutto per prevenire ed intervenire sul male.