Il mercato dell’intelligenza artificiale, e in particolare dell’intelligenza artificiale generativa, è un territorio in cui operano in regime di sostanziale oligopolio pochissimi grandi attori. Aziende globali come OpenAI, Microsoft, Google, Meta e poche altre vantano risorse enormi in termini di capitale, accesso a dati e competenze tecniche. Sviluppano e detengono la maggior parte delle tecnologie di punta in questo campo, dalla ricerca fondamentale fino alla produzione e distribuzione su scala globale.
La posizione dominante di queste aziende pone una sfida considerevole per l’Italia e per l’Europa, che possono legittimamente coltivare l’ambizione di porsi a loro volta come attori di primo piano in questo agone. Del resto, nonostante l’esistenza indubbia di talento tecnico e scientifico di alto livello, le condizioni necessarie per colmare il gap con i leader del settore non sembrano essere presenti. Le difficoltà emergono non solo per quanto riguarda l’investimento finanziario e l’accesso alla potenza computazionale e ai dataset necessari per il training, ma anche per quanto riguarda la capacità di attrarre e mantenere talenti di livello globale.
L’Europa rischia di trovarsi in una posizione di retrovia nell’era dell’intelligenza artificiale
La conseguenza diretta di questa situazione è una dipendenza tecnologica significativa da Paesi terzi. Dipendenza che si traduce poi in uno svantaggio strategico e geopolitico. L’Europa rischia di trovarsi in una posizione di retrovia nell’era dell’intelligenza artificiale, con potenziali ripercussioni sulla propria influenza globale e sulla propria autonomia decisionale. Pur nell’ambito di un contesto atlantista, che nessuno intende mettere in discussione, uno scenario che vedesse l’Europa e il nostro Paese in particolare interamente dipendenti dalle importazioni di tecnologia e competenze in un settore così vitale come quello dell’AI costituirebbe un vulnus non tollerabile. E a poco varrebbe essere in possesso dell’impianto regolamentare più avanzato al mondo in materia di intelligenza artificiale, se poi ci si ritrova a normare qualcosa di cui si è meri fruitori.
Del resto, proprio in questi giorni Sam Altman, CEO di OpenAI, ha potuto permettersi di dichiararsi scettico sull’evoluzione dell’AI Act e in particolare sulla classificazione ad alto rischio attribuita ai modelli fondazionali, facendo intendere che se Bruxelles non dovesse rivedere la sua posizione l’Europa perderà accesso a strumenti come ChatGPT.
Una delle principali criticità legate all’impiego di prodotti di intelligenza artificiale generativa “non sovrana” riguarda la sicurezza dei dati, non soltanto personali. E questo è vero tanto in termini di training, quanto in termini di utilizzo. Ad esempio, se un modello di intelligenza artificiale generativa viene utilizzato per generare contenuti basati su dati personali o di interesse strategico, vi sono concreti rischi associati ai profili di trattamento, al trasferimento extra-UE, a leaking/data breach.
Inoltre, nel caso di dati classificati come strategici o critici, ai sensi del Regolamento AgID sulla qualificazione dei servizi cloud per la pubblica amministrazione, l’utilizzo di prodotti ospitati su cloud non qualificato (è ancora il caso di OpenAI) fa sorgere ulteriori elementi di rischio anche sistemico.
Anche rischi per la cybersecurity
Spingendosi ancora oltre, è ampiamente noto in letteratura l’impiego dell’intelligenza artificiale generativa in ambito cyber warfare. In questo contesto, la GAI può essere utilizzata per rafforzare le capacità difensive e offensive, identificare e contrastare attacchi cibernetici, migliorare la difesa delle infrastrutture critiche e sviluppare strategie di prevenzione e risposta più efficaci. In tal senso è cruciale avere il pieno controllo dell’intera supply chain sottostante ai modelli GAI utilizzati.
Un tema a parte è quello che concerne la tutela della ricchezza culturale del nostro Paese. Le intelligenze artificiali generative sono basate su modelli linguistici che, se sviluppati e allenati principalmente in lingue come l’inglese (ed è certamente il caso di ChatGPT), possono portare a una perdita di diversità culturale e linguistica. Per promuovere la sovranità digitale, è importante sviluppare modelli fondazionali nazionali o europei che tengano conto delle specificità linguistiche e culturali dell’Italia e degli altri Paesi europei.
I 7 passi che portano all’autonomia tecnologica europea sull’intelligenza artificiale generativa
Per invertire la tendenza e assicurare all’Italia e all’Europa maggiore autonomia, è fondamentale garantire un presidio nazionale ed europeo a tutti i livelli dell’ecosistema AI. Chi scrive propone lo sviluppo e l’applicazione di un framework multilivello, analogo a uno strumento di recente proposto da McKinsey per la valutazione della value chain in ambito GAI:
- Ricerca fondamentale e applicata: come è noto, la dottrina dello Stato innovatore e dell’innovazione mission-oriented ritiene chiave di volta di ogni iniziativa strategica in campo tecnologico il sostegno pubblico sia alla ricerca di base che a quella applicata, con particolare attenzione al dual use.
- Produzione di hardware dedicato: questo è purtroppo un punto dolente. La corsa globale per i semiconduttori mostra qual è la strada maestra da percorrere. L’Europa deve ridurre il ritardo accumulato negli anni e sviluppare la propria capacità di produrre componenti hardware, come le unità di elaborazione grafica (GPU) e le unità di elaborazione tensoriale (TPU), essenziali per l’addestramento e l’applicazione degli algoritmi.
- Costruzione di modelli fondazionali: dobbiamo sviluppare una capacità tutta nazionale ed europea di creare modelli fondazionali di intelligenza artificiale, del tipo di GPT-4, BERT o DALL-E, ma ovviamente conformi al quadro regolatorio dell’AI Act e del GDPR.
- Operazionalizzazione: questo livello passa attraverso la padronanza di tecniche e paradigmi come il MLOps (Machine Learning Operations) e l’AIOps (Artificial Intelligence Operations), indispensabili per implementare, gestire e migliorare efficacemente, anche su larga scala, i modelli di intelligenza artificiale in un contesto operativo.
- Sviluppo di modelli e servizi applicativi: oltre alla creazione di modelli fondazionali, è fondamentale la capacità di sviluppare soluzioni e servizi personalizzati che rispondano alle esigenze specifiche delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e degli utenti finali.
- Competenze tanto in ambito STEM quanto in ambito giuridico, del risk management, dell’etica, della sostenibilità. Ed ovviamente apertura alla multidisciplinarietà.
- Infine, sandbox normative per le start-up e accesso al capitale pubblico e privato.
Inevitabilmente, la via europea e italiana verso l’indipendenza tecnologica nel campo dell’intelligenza artificiale generativa passa attraverso un rapporto privilegiato con l’open source. Molti modelli di ultima generazione, del resto, sono infatti basati su tecnologie open source e nello stesso tempo su un numero di parametri più contenuto, il che ne rende il training alla portata anche di un tessuto produttivo in cui le PMI sono la grandissima maggioranza delle realtà imprenditoriali.
Tuttavia, è importante essere consapevoli che il modello italiano di riuso dell’open source (artt. 68 e 69 del Codice dell’Amministrazione Digitale) deve essere rimodulato nella direzione di un maggiore impegno nella produzione rispetto alla semplice fruizione. Un utilizzo coscienzioso e proficuo dell’open source, infatti, non implica soltanto l’adozione e l’adattamento di ciò che è già disponibile, ma richiede di partecipare attivamente all’ecosistema di sviluppo. È forse poco noto che i massimi contributor mondiali ai grandi progetti open source sono le stesse Big Tech, le quali hanno ben compreso quanto sia preziosa l’opportunità che questa partecipazione offre di modellare e guidare le innovazioni tecnologiche secondo le proprie esigenze, piuttosto che essere meramente sottoposti a decisioni prese altrove.
Nel complesso, la strada verso l’indipendenza tecnologica nel campo dell’intelligenza artificiale, generativa in particolare, è un percorso tortuoso e ricco di sfide, ma ineludibile se come Italia e come Europa vogliamo mantenere una posizione di rilievo nel panorama tecnologico mondiale. O meglio, non è solo questione di tecnologia, ma anche di politica, di economia, di cultura, di identità.