Google vuole piazzare bene l’IA nell’editoria
Integrare l’intelligenza artificiale nel lavoro di redazione, nel comporre gli articoli, magari solo per trovare il titolo più azzeccato. Non è fantascienza o la trama di un futuro lontano, è qualcosa che sostanzialmente già sta accadendo, semplicemente potrebbe divenire la normalità entro pochi anni.
Secondo quanto riportato in un articolo pubblicato da Reuters, proprio in questi giorni Google sta trattando con varie testate di livello internazionale sul come e quando introdurre in maniera concreta e continuativa soluzioni di intelligenza artificiale (IA).
Secondo la testata, ci sarebbero stati diversi incontri con gli editori e la direzione di giornali quali Washington Post, News Corp (che è anche proprietario del Wall Street Journal) e lo stesso New York Times.
Incontri in cui si è proposta un’IA in grado di migliorare i rendimenti, la produttività, la capacità dei contenuti di attrarre lettori, di rendere più efficace la strategia editoriale.
Opportunità e rischi, ma per chi?
Secondo un portavoce di Google, le trattative sono ancora ad una fase preliminare e, soprattutto, nessuna IA sarà proposta in sostituzione dei giornalisti in carne ed ossa. Gli articoli, i video e qualsiasi altro contenuto sarà sempre frutto del lavoro umano, al limite la tecnologia (come già ha fatto internet) migliorerà la qualità del prodotto finale, fornendo un aiuto considerato “prezioso” dal motore di ricerca e col tempo insostituibile.
Ma è sicuro che andrà così? I giornalisti delle testate citate, al momento, sono su una posizione di attesa, attendono cioè di vedere le carte, quelle vere, mentre gli editori si sono dimostrati più interessati, meno dubbiosi sull’impatto positivo dell’IA nelle redazioni.
La minaccia di vedersi soffiare il posto di lavoro in redazione da parte dell’IA generativa, ad esempio, non è solo ipotetica, ma al quanto reale.
Entro qualche anno, forse già il 2025, c’è la concreta possibilità che il 90% circa dei contenuti online sarà sviluppato da intelligenze artificiali generative, come ChatGPT a Dall-E.
La digitalizzazione e internet hanno già ridotto il personale di un giornale negli anni, l’IA e l’automazione potrebbero ridurlo ancora di più, diciamo all’osso.
Dagli investimenti ai licenziamenti, quale sarà l’impatto dell’IA sul mondo del lavoro?
Nel 2021 le aziende hanno investito in soluzioni IA oltre 176 miliardi di dollari nel mondo, nel 2020 altri 125 miliardi di dollari (erano appena 6 miliardi nel 2013). In generale, le risorse finanziarie dirottate sull’IA sono aumentate di 30 volte negli ultimi dieci anni. Diversi di questi miliardi Microsoft li ha investiti (circa 13 miliardi di dollari) in OpenAI (a cui appartiene l’IA generativa più famosa al mondo), mentre Google ne ha spesi altri ancora per integrare l’IA nei suoi software (ma anche su aziende come Runway AI e Anthropic in questa prima metà dell’anno).
Ad inizio anno Goldman Sachs giudicava l’impatto dell’IA sul mondo del lavoro di Stati Uniti ed Europa in maniera molto positiva riguardo alla crescita del Pil, ma in maniera pesante riguardo i livelli occupazionali: tale tecnologia potrebbe sostituire 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno al massimo entro 10 anni. Addirittura la stessa OpenAI si aspetta che l’IA svolgerà una qualche mansione (il 10% circa) dell’80% dei lavoratori americani entro quello stesso periodo di tempo.
Secondo il 62% degli americani, entro massimo 20 anni si vedranno concretamente gli effetti dell’IA sul mondo del lavoro e allora capiremo come è andata.