Mondo del lavoro in difficoltà, tra salari al ribasso e avanzata dell’automazione (e dell’IA)
La ripresa post Covid-19 sembra ormai un ricordo lontano. Il rincaro delle materie prime, soprattutto energetiche, il conflitto in Ucraina, l’impennata dell’inflazione, le tensioni geopolitiche e i problemi nelle principali catene di approvvigionamento globali (specialmente nell’emisfero settentrionale), stanno mettendo a dura prova il mercato del lavoro, in particolare nei Pesi dell’Europa occidentale, ma non solo.
Nei Paesi dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), nonostante il quadro di riferimento piuttosto negativo, mediamente l’occupazione ha resistito, mentre i tassi di disoccupazione hanno raggiunto i livelli più bassi degli ultimi decenni.
Tuttavia, la situazione generale sta peggiorando, non migliorando. Secondo le stime della stessa Ocse, a parte una ripresa della crescita dei salari nominali, i salari reali sono in calo in quasi tutti i Paesi membri: “In molti di essi i profitti sono aumentati più del costo del lavoro, apportando un contributo eccezionalmente elevato alle pressioni interne sui prezzi e determinando un calo della quota dei salari. Sebbene i trasferimenti pubblici e il sostegno fiscale abbiano fornito un po’ di sollievo, la perdita di potere d’acquisto è particolarmente problematica per i lavoratori delle famiglie a basso reddito che dispongono di un margine di manovra più esiguo per far fronte agli aumenti dei prezzi attraverso risparmi o prestiti, e devono spesso far fronte a tassi di inflazione effettivi più elevati perché una quota maggiore della loro spesa è destinata all’energia e ai prodotti alimentari”.
Come se non bastasse, sempre in un recente studio Ocse, oltre a questi problemi, lavoratori e imprese dovranno già ora affrontare una nuova sfida, di cui tanti hanno parlato nei mesi scorsi e che prima poi andrà affrontata con maggiore serietà: l’impatto dell’intelligenza artificiale (IA) nel mondo del lavoro.
IA davvero un pericolo, o anche una risorsa?
Al momento, di prove concrete di effetti negativi legati all’integrazione di soluzioni di IA (anche generativa) sul posto di lavoro non ce ne sono. Ma gli esperti mettono in guardia: “Finora vi sono poche prove che l’IA comporti notevoli effetti negativi sull’occupazione. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che l’adozione dell’IA è ancora relativamente bassa e/o che le imprese preferiscono fare affidamento sull’adeguamento volontario della forza lavoro a questa nuova tecnologia”.
Forse ci vorrà più tempo prima che tali effetti negativi si manifestino, o forse i vantaggi della tecnologia in questione saranno maggiori degli svantaggi, chissà.
In effetti, l’IA non è solo uno strumento di distruzione, tutt’altro. Secondo gli studiosi, l’intelligenza artificiale consentirà nel tempo di creare nuovi posti di lavoro e nuove figure professionali, in particolare per i lavoratori altamente qualificati che dispongono delle competenze adeguate a lavorare con l’IA.
Sarà quindi fondamentale monitorare nel tempo la distribuzione della perdita di posti di lavoro e della creazione di nuovi, prestando particolare attenzione all’inclusività. Più in generale, se si individuano effetti negativi legati all’IA applicata in ogni contesto, bisognerà indagarne con cura cause e conseguenze.
L’Ocse ha diffuso dei dati a riguardo. Al momento l’IA sembra integrare, e non sostituire, le competenze delle professioni ad alta specializzazione, teoricamente più esposte ai nuovi sviluppi.
Senza competenze digitali, l’IA metterà a rischio molti posti di lavoro in Italia e nel resto d’Europa
Se si considerano tutte le tecnologie di automazione, compresa l’IA, le professioni a più alto rischio di automazione restano, infatti, quelle meno qualificate. Il 30,1% dei lavoratori in Italia è occupato in professioni a più alto rischio di automazione, rispetto a una media OCSE del 27%.
In Germania tale dato si assesta attorno al 29%, in Spagna al 28%, in Francia al 27%.
Il dato italiano è confermato anche da uno studio dell’Università di Trento, secondo cui, entro i prossimi 15 anni, la quota di lavoratori ad alto rischio di sostituzione tecnologica si attesterà tra il 18 ed il 33%, soprattutto nei settori dei trasporti, della logistica, del supporto d’ufficio e amministrativo, della produzione, dei servizi e della vendita.
Questione di competenze, si dice sempre. Anche in questo caso ci vengono in aiuto i dati e secondo il Rapporto Today Istat su Cittadini e competenze digitali, meno del 50% degli italiani (16-74 anni) a fine 2021 aveva quelle di base (contro il 79% di Finlandia e Olanda per dire).
Peggio di noi solo la Romania con il 27,8%, la Bulgaria (31,2%), e la Polonia (42,9%).