Il quadro

I Silicon Boys applaudono il neo presidente ‘laburista’. Ma cominciano a farsi i conti in tasca: siamo partner o dipendenti?

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Davvero Google, Altman, Bezos, Zuckerberg possono ridursi a fare i padroni delle ferriere, con una politica amica e non coltivare più il sogno, e il mercato, di sostituire la politica con modelli econometrici delle opinioni, quali sono oggi i sistemi di intelligenza artificiale?

Solo uno smodato Elon Musk, della nutrita pattuglia dei Silicon Boys calati su Washington per l’insediamento di Donald Trump, si è lasciato andare a vistosi segni di entusiasmo, in particolare al passaggio del discorso “Guai ai vinti”, pronunciato dal nuovo capo della Casa Bianca, sulla bandiera stelle e strisce da portare su Marte.

Per il resto qualcosa sembra già preoccupare i principi rinascimentali.

Silicon Boys preoccupati

Tim Cook appariva terreo nel suo biancore alogeno; con il suo sorrisino tirato d’ordinanza Mark Zuckerberg, irrequieto Jeff Bezos, concorrente diretto di Musk per la compagnia di viaggi galattica, visibilmente impacciato il capo di Alphabet, la capogruppo di Google, l’indiano Sundar Pichai, forse messo a disagio dalla constatazione che era uno dei pochi non bianchissimi della sala.

L’esibizione di Trump non ha lasciato spazio alle ambiguità o machiavellismi: ogni bastione della controcultura digitale è stato demolito con colpi di maglio che hanno riportato l’America al maccartismo degli anni ‘50. Il nemico oggi non sono i comunisti, semmai sono i diversi, gli eccentrici, gli irregolari. Esattamente quel crogiuolo sociale che prolifica nella Valley californiana.

Cambia tutto nel mondo digitale

Eppure, i Silicon Boys, con le loro cravattine nuove nuove, erano arrivati a Washington consci che stavano oltrepassando il loro Rubicone. Da oggi, dall’abbraccio con il tycoon di New York, il mondo digitale non sarebbe stato più Camelot, il regno della libertà e della diversità, ma diventava un regime globale della sorveglianza, dove le piattaforme si sostituiscono agli Stati, diventando l’unico spazio pubblico.

Il patto che lega quella ex corte rinascimentale di ex adolescenti di talento diventati proprietari di monopoli digitali e il più estremo rappresentante della pancia americana che connette le élite finanziarie con il nazionalismo di un ceto medio impoverito, è proprio lo sbriciolamento di ogni infrastruttura pubblica, come limitazione dei poteri individuali.

Lo Stato non esiste più nel metaverso trumpiano

Lo Stato non esiste più, ha chiaramente gridato Trump, aggiornando il manifesto conservatore di Reagan e della Thatcher che invece sosteneva che fosse la società a non esistere.

Invece nel nuovo metaverso trumpiano la società è il laboratorio da dove si estraggono i dati che automatizzano i comportamenti di milioni di individui. Un’opzione tutto sommato non molto diversa dalla visione che cinesi e russi hanno della tecnologia: una gigantesca piattaforma di reputazione sociale finalizzata al controllo degli individui.

Ma quello che potrebbe incrinare la nuova coalizione fra lo speculatore immobiliare e gli inventivi ragazzini dei garage californiani, diventati oggi padroni a tutto tondo, è qualcosa di più radicale e strategico.

A cosa servono i dati? A personalizzare i servizi e ad addestrare le intelligenze artificiali. E a cosa devono servire servizi personalizzati e intelligenze generative pertinenti? A sostituire attività e lavoro.

E qui, direbbe Totò, casca l’asino.

Trump strizza l’occhio al mondo del lavoro

Tutto il discorso del nuovo presidente era un gigantesco manifesto di gratificazione per il mondo del lavoro. Come sempre Trump usa il consenso che ha raccolto negli stati industriali, e più in generale nella sterminata provincia americana, come un nodoso randello per mazzuolare le élites finanziarie e tecnologiche della East Coast. Oggi, ancora di più sceglie di giocare d’anticipo e di costruirsi un proprio popolo, costituito innanzitutto da quella moltitudine di lavoratori americani rimasti esclusi dalla globalizzazione selvaggia.

Il rifiuto dei vincoli ecologici, la ripresa indiscriminata delle trivellazioni petrolifere, il richiamo alle aziende di tornare a casa, l’imposizione di severi dazi alla concorrenza, e la stessa platea politica anti immigrazione, sono tutte rivendicazioni di un ipotetico sindacato della working class americana. Trump si presenta come il presidente di un neo laburismo corporativo, in cui il nazionalismo sfrenato è finalizzato alla tutela armata dei propri lavoratori, riservando all’industria militare, e alla conquista di Marte, il ruolo di traino dell’innovazione.

Sbriciolamento di ogni illusione socialista

Svanito il sogno di un assalto al cielo del potere che sovvertisse la gerarchia fra lavoro e proprietà, il buco creatosi dallo sbriciolamento di ogni illusione socialista viene colmato da una destra populista che si rinserra nei propri confini, risucchiando più attività manifatturiere possibili. La terza via che era ipotizzata proprio dalla Silicon Valley, una società automatica che accumulava ricchezza che poteva essere distribuita in base ad un patto sociale fra piattaforme e utenti, viene scavalcata. La pervasività degli algoritmi che connetteva la pace con la guerra, sviluppando un unico modo per profilare ogni individuo e coinvolgerlo in una continua azione di addestramento dei sistemi digitale, dovrà essere rivista.

Le tecnologie devono fermarsi davanti alle fabbriche

La tecnologia deve fermarsi davanti alle fabbriche, sembra intimare Trump, e lo spiega con una metafora convincente: le automobili a carburante fossile devono tornare ad essere il motore dell’occupazione, altro che ubbie delle auto elettriche, e anche quelle che potremmo fare le dobbiamo fare in America con tanto di braccia americane.

Si coglie qui una linea di demarcazione fra l’illusionismo di Musk, che vende un futuro senza limiti di bucrocrazie e leggi, e la necessità della destra populista che deve fare sempre i conti con il voto popolare.

Non rimane da chiedersi quale dei due disegni sia destinato a infrangersi sulla realtà.

Google & Co ridotti a padroni delle ferriere?

Davvero Google, Altman, Bezos, Zuckerberg possono ridursi a fare i padroni delle ferriere, con una politica amica e non coltivare più il sogno, e il mercato, di sostituire la politica con modelli econometrici delle opinioni, quali sono oggi i sistemi di intelligenza artificiale?

Nei prossimi 4 anni questo sarà il quesito che misurerà la resilienza del nuovo inquilino della Casa Bianca.

Come già gli ha ricordato il suo partner sudafricano: il popolo della tecno destra è stato costruito in rete. Ed In rete potrebbe essere riformattato.

Davvero tempi interessanti, anche se non proprio divertenti per tutti.

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