Governare è un’arte complessa, soprattutto in un momento storico come l’attuale. Perché, va detto con chiarezza, questa è una di quelle fasi della storia del mondo nelle quali ci giochiamo il futuro. I confini dell’Ucraina, entro i quali si sta svolgendo una guerra di aggressione (avviata da Putin e dal suo gruppo di potere) inaccettabile e barbara (come tutte le guerre), si sono già allargati al mondo.
Chi governa dovrebbe incarnare il senso della Storia perché, lo si voglia o meno, i leader politici e gl’intellettuali hanno una responsabilità ben maggiore rispetto ai cittadini comuni. Hanno, anzitutto, la responsabilità della parola: se un intellettuale nega il conflitto aggiunge disinformazione, aumenta la confusione e contribuisce a diffondere quella “nebbia informativa” nella quale il male, Thanatos, può meglio agire, indisturbato; se un leader politico usa parole inadeguate in un momento sensibile, l’unico risultato possibile è l’allontanamento delle già difficili (guardando all’Ucraina) prospettive di pace. A chi giova tutto questo?
Questa riflessione, completamente calata dentro al conflitto in corso, vuole evidenziare un rischio in progress tra i tanti che la guerra genera. Oltre alla crisi alimentare (la più drammatica) ed energetica, la corsa al riarmo è un elemento distintivo di ciò che sta accadendo nel mondo.
Non si può più attendere nel criticare radicalmente, non antagonisticamente, una costruzione globalizzata nella quale “gli Occidenti” (uso volutamente il plurale perché, al singolare, l’Occidente è una pura e semplice elaborazione teorica) sembrano saper parlare soltanto più il linguaggio delle armi. E lo scrivo con dolore perché, rispetto ai regimi autoritari dove il riarmo è parte di un pensiero strategico che non può essere soggetto a critica nei termini in cui la intendiamo noi, “gli Occidenti” rischiano di dimenticare le grandi conquiste della libertà e della democrazia: e non bastano Summit sulla democrazia per dire che noi siamo quelli che hanno una morale superiore.
Il mondo si sta riconfigurando molto più velocemente di quanto pensiamo. Se le ragioni della difesa e della sicurezza si vanno imponendo sempre di più, e nessuno nega che siano reali, esse devono andare di pari passo con quelle del dialogo e dell’inclusione, di fatto molto carenti.
Qui elaboriamo intorno, e dentro, a un “nuovo realismo” e a una “pace progettuale”. La fragilità del mondo che abbiamo ereditato, e che cerchiamo di traghettare nel futuro con grandi difficoltà, possono essere comprese e curate solo attraverso un “nuovo pensiero strategico”. La sicurezza va intesa secondo complessità e la difesa va organizzata regionalmente come molte altre cose in una globalizzazione che va ri-globalizzandosi.
Se abbiamo a cuore la democrazia e la libertà, occorre agire subito. Non sono più accettabili, nel 2022, guerre nel cuore dell’Europa come non sono più accettabili classi dirigenti che, tra business e politica, scelgano di mettere nell’ombra la seconda.