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Crescita sotto la media, export lento, occupati cresciuti poco e fiducia ai minimi
Emmanuel Marcon e Marie Le Pen andranno al ballottaggio in Francia il 24 aprile. I sondaggi non li danno così distanti nonostante che al primo turno l’attuale presidente della Repubblica francese sia risultato in vantaggio di circa 5 punti percentuali rispetto all’avversaria della destra. Chiunque vincerà al ballottaggio e chiunque salirà all’Eliseo troverà comunque una Francia in crisi, perché la vera malata d’Europa non è l’Italia. Basta guardare i numeri. Eccoli
Si va al ballottaggio con una Francia in crisi
Il grafico sopra riporta le previsioni di crescita dei principali Paesi europei nel 2022 secondo le stime invernali, cioè le ultime diffuse dalla Commissione Europea. Come si vede l’economia francese è stimata espandersi del 3,8%, meno della media dell’eurozona,ma anche meno dell’Italia (+4,3%). Sono cifre molto lontane dal +5,5% spagnolo ma anche dal +5,3% portoghese. La posizione della Francia e del nostro Paese in questa classifica rappresentano in un certo senso una novità. Negli ultimi anni, infatti, Parigi ha dimostrato di essere come quello studente un po’ asino che non si fa notare perché c’è qualcuno ancora più asino di lui e in questo caso lo studente asino è sempre stata l’Italia. Oggi però fa anche peggio di noi, almeno fino a una revisione di queste previsioni alla luce della guerra in Ucraina. Ma non è l’unico dato negativo che spiega la crisi della Francia: se si prende praticamente qualsiasi indicatore economico si scopre che Parigi è sempre relegata agli ultimi posti.
La crescita del Pil francese dal 2014 ad oggi
Lo vediamo di seguito anche nella crescita cumulata del Pil, grafico sotto, tra il 2014 e oggi.
Secondo i dati Eurostat, negli ultimi 7 anni, mentre la Svezia è cresciuta del 15,7%, i Paesi Bassi del 13,1%, la Spagna del 7,8%, la Francia è stata penultima, alla pari con la Germania, con un +6,9%. “Salvata” solo dal misero +2,1% dell’Italia, che ha sofferto di più la pandemia, ma che aveva un andamento stagnante dell’economia anche prima. Le conseguenze si vedono sul tasso di disoccupazione, che come vediamo di seguito è sempre stato inferiore o molto simile a quello dell’area euro, pur con oscillazioni minori. Non calava molto nelle fasi di crescita, non aumentava molto in quelle di crisi, grazie, o a causa, della presenza di grandi imprese e di una certa rigidità del mercato del lavoro.
Tuttavia l’ultimo trimestre di cui si hanno i dati, il terzo del 2021, presenta una differenza chiara tra il dato francese e quello dell’area euro, con il primo del 0,6% superiore. Ecco i numeri.
Si tratta di un gap che torna ad avvicinarsi a quello che si era visto nel 2018 e 2019, prima della pandemia, quando il miglioramento della situazione occupazionale in Europa era stato proprio in Francia più lento della media, come si vede nell’infografica. La ripresa dalla crisi dell’euro era stata più forte in altri Paesi, e mentre in alcuni Stati, come in Grecia o Spagna, c’è stato un crollo dell’altissima disoccupazione, altrove ha proseguito a diminuire, per esempio in Germania, mentre la Francia è rimasta ferma. Ancora più ferma dell’Italia.
Adesso vediamo i dati riguardanti la crescita degli occupati tra l’inizio del 2014 e il 2020.
Anche qui la Francia è penultima, con un misero +1,9%, e tra questi Paesi solo l’Italia fa peggio, a causa del Covid, con un -1,3%. In Spagna l’incremento è del 3,9%, in Portogallo del 5,1%, in Svezia addirittura dell’8,3%.
Al ballottaggio si parlerà del fisco in Francia
Tra le ragioni di queste pessime performance potrebbe esserci l’eccessiva tassazione. Il cuneo fiscale medio su un dipendente single con un reddito medio pro capite, inclusi quindi i contributi pagati dal datore di lavoro, è del 46,6%, anche superiore a quello italiano. Certo, Belgio, Austria e Germania, Paesi che crescono di più, hanno un peso delle imposte ancora maggiore, ma la gran parte dei maggiori Stati Ocse fanno pesare le tasse in modo molto inferiore sul lavoratore con evidenti benefici proprio sul reddito medio pro capite. In alcuni casi anche meno del 40%, fino al 19,1% neozelandese, come mostra il grafico sotto.
Non è solo una questione di tasse, però, c’entrano anche gli investimenti. La Francia, manco a dirlo, è ancora penultima, almeno in Europa. Come vediamo nel grafico di seguito, gli investimenti sono cresciuti tra il 2013 e il 2020 del 26,5%, che non è molto considerando che in Portogallo l’aumento è stato del 55,8% e in Spagna del 38,1%. Solo l’Italia fa peggio con un +18,4%.
Per di più (ed ecco un dato che spiega non solo la crisi della Francia ma anche il motivo per il quale Macron non è molto amato in patria) i francesi non sembrano essere per nulla fiduciosi verso il futuro. Nell’ultima rilevazione europea il saldo tra opinioni positive e negative sull’economia nel suo complesso era più negativo di quello medio dell’area euro, come vediamo nel grafico qui sotto: -30% contro -20%.
Come si vede, i più ottimisti con un saldo dell’82% sono gli svedesi. La sfiducia dei francesi verso il futuro potrebbe aver influenzato anche la propensione al matrimonio.
La Francia è in crisi anche nell’export
Al di là degli umori del momento, influenzati anche dalla politica, vi sono problemi strutturali che spiegano la crisi della Francia. Ne è un esempio la debolezza nelle esportazioni. Di seguito vediamo come, rispetto al dato del 2012, ovunque vi sono stati dei progressi nell’export, fino ad arrivare in Italia nel 2021 a un +20,4%, superato dal +24,3% spagnolo, ma migliore del +15,7% tedesco.
La Francia ha avuto risultati molto peggiori, con un aumento dell’export solo del 15,3%. A dimostrazione di una minore dinamicità che potrebbe mettere un’ipoteca sul futuro del Paese. Anche perché la Francia è già tra i campioni mondiali di spesa pubblica.
I dati si riferiscono al: 2013-2021
Fonte: Ocse, Commissione Ue, Eurostat