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‘I pericoli e i danni del web blocking’. Ecco l’eBook di Fulvio Sarzana e Bruno Saetta

Diritto d'autore

Web

Jimmy Carter, Presidente degli Stati Uniti alla fine degli anni ‘70 dello scorso secolo, volendo dimostrare che la libertà d’espressione è indipendente dal mezzo attraverso tale libertà si esprime, e che la democrazia americana protegge in qualsiasi contesto le libertà garantite dal primo emendamento, rilasciò un’intervista sulla libertà di espressione e di manifestazione del pensiero alla rivista scandalistica Playboy. Tale intervista divenne in breve tempo oggetto di studio in tutte le Scuole Statunitensi, scandalizzando i benpensanti dell’America puritana.

Quando, diversi anni dopo, la Corte Suprema si dovette occupare delle limitazioni all’accesso ai contenuti presenti sul web che le scuole Americane di ogni ordine e grado avrebbero dovuto varare in virtù del Communications Decency Act, qualcuno fece notare alla Corte che gli Studenti Americani che la limitazione all’accesso alle pagine di Playboy avrebbe comportato l’impossibilità di accedere all’interessante intervista del Presidente Carter sulla libertà d’espressione, così privando la società di una testimonianza preziosa per lo sviluppo della democrazia Americana.

La Corte concluse cosi: “I fatti accertati dimostrano che l’espansione di Internet è stata, e continua ad essere, fenomenale. E’ tradizione della nostra giurisprudenza costituzionale presumere, in mancanza di prova contrarie, che la regolamentazione pubblica del contenuto delle manifestazioni del pensiero è più probabile che interferisca con il libero scambio delle idee piuttosto che incoraggiarlo. L’interesse a stimolare la libertà di espressione in una società democratica è superiore a qualunque preteso, non dimostrato, beneficio della censura[1]. La libertà d’espressione e di manifestazione delle proprie idee, pietra angolare della democrazia Statunitense, secondo i principi tracciati da James Madison, avrebbe dovuto necessariamente prevalere anche su comportamenti che avrebbero potuto violare altre norme dell’ordinamento.

L’Italia, attraverso l’approccio del Regolamento AGCOM sul diritto d’autore ha adottato l’opposta prospettiva.

In assenza di un mandato Parlamentare o Governativo esplicito, l’AGCOM ha emanato un Regolamento che limita fortemente ai cittadini italiani l’accesso ad alcune fonti informative sul web. È sufficiente effettuare una ricerca sul web di fonti informative lecite per rendersi conto che molte di queste erano reperibili su portali inibiti ai cittadini italiani dall’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni.

Esistono ad esempio migliaia di opere rilasciate in pubblico dominio o sottoposte a licenze quali le creative commons che non sono più visibili in Italia in virtù delle inibizioni all’accesso disposte dall’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni.

Ad esempio film mai usciti nelle sale italiane, perfettamente leciti in quanto rilasciati attraverso licenze libere, come i libri ed i film del docente universitario Statunitense Lawrence Lessig, e che sono disponibili su diversi siti oggetto di provvedimento dell’AGCOM, opere inibite agli utenti italiani.

Il diritto di informarsi e di accedere alle fonti globali e lecite della conoscenza da parte dei cittadini Italiane, sono dunque gravemente frustrate dal Regolamento AGCOM sul diritto d’autore.

Eppure gli stessi soggetti che ottengono oggi dall’AGCOM la quasi totalità dei provvedimenti, ovvero le grandi Multinazionali del diritto d’autore, sono state a loro volta “pirati”. L’industria cinematografica di Hollywood fu, infatti, costituita da “pirati” in fuga dai diritti di proprietà intellettuale. I pirati di inizio secolo si chiamavano Universal Pictures, Paramount Pictures e Fox Distribution.

All’inizio del XX secolo, autori e registi emigrarono dalla costa orientale in California, sulla collina di Hollywood, per sfuggire al controllo che i brevetti avevano garantito all’inventore delle tecniche cinematografiche moderne, Thomas Edison. Edison infatti deteneva la proprietà intellettuale sulle cineprese in uso all’epoca ed imponeva l’utilizzo di licenze per la fruizione delle attività creative associate al nascente mercato cinematografico. Questo controllo veniva esercitato tramite un “trust” monopolistico, la Motion Pictures Patents Company (MPPC), e si basava sulla proprietà creativa di Thomas Edison.

Era stato proprio Edison a costituire la MPPC per esercitare i diritti derivatigli dalla proprietà creativa, e tale società imponeva il suo controllo in maniera draconiana.

Tra gli Indipendenti che sfuggirono al controllo di Edison, ponendo le basi della pirateria commerciale moderna vi erano: Carl Laemmle della Universal Pictures e Adolph Zukor della Paramount Pictures, nonché William Fox dell’omonima casa di distribuzione cinematografica.

Così un commentatore racconta la storia: “Alla scadenza di gennaio 1909 tutte le aziende dovevano mettersi in regola con la licenza. A febbraio, i fuorilegge privi di licenza, che si autodefinivano indipendenti, protestarono contro il trust e proseguirono l’attività senza sottomettersi al monopolio di Edison. Nell’estate del 1909 il movimento indipendente era in piena azione, con produttori e proprietari di teatri di posa, che ricorrevano ad apparecchiature illegali e a pellicole importate per creare un mercato sotterraneo.

Mentre il Paese viveva una formidabile espansione nella diffusione dei “nickelodeon”, la Motion Pictures Patents Company (MPPC), reagì nei confronti del movimento indipendente creando un “braccio armato” supplementare, noto come General Film Company, per fermare l’attività degli indipendenti privi di licenza. Grazie a tattiche repressive divenute leggendarie, la General Film confiscò le apparecchiature illegali, bloccò la fornitura di prodotti alle sale che proiettavano film senza licenza e monopolizzò di fatto la distribuzione con l’acquisizione di tutte le agenzie distributrici di film statunitensi, eccetto quella posseduta dall’indipendente William Fox, che oppose resistenza al trust anche quando gli venne revocata la licenza.[2].

Anche il settore della musica e delle Radio, secondo Lessig, nasce attraverso atti di pirateria, per motivi che non è possibile accennare in poche righe, ma che sono estensivamente spiegati nel testo del Docente Statunitense, a cui si rimanda.

Oggi gli eredi di quei coraggiosi pionieri che sfidarono le leggi sulla proprietà intellettuale, consentendoci da allora in poi di beneficiare della diffusione della cultura cinematografica, sono i maggiori fruitori delle inibizioni all’accesso previsti dal Regolamento AGCOM sul diritto d’autore[3]. Un Regolamento nato già vecchio che ha dimostrato in questi mesi di privilegiare una deriva protezionistica contraria alla circolazione delle idee ed alla necessità che i Consumatori abbiano accesso al massimo numero di fonti informative presenti sul web.

Le conseguenze sui consumatori della tutela sommaria delle industrie creative sono analizzate, sotto forma di allegoria, da un giovane studioso di matrice Keynesiana, Guido Iodice, che,  in un articolo pubblicato sul suo blog, dal titolo “L’industria del ghiaccio che sciolse internet”[4]  traccia gli scenari di una tutela protezionistica del diritto d’autore, rispetto alla circolazione delle idee, portata alle estreme conseguenze.

Iodice, riprendendo un’idea originale di Bruce Perens[5], paragona il blocco oligopolistico a protezione dei diritti di proprietà intellettuale all’industria di produzione del ghiaccio, impegnata a proteggere a tutti i costi i propri diritti di fronte alla nascente industria dei frigoriferi che, eliminando le intermediazioni tra i produttori di ghiaccio e i consumatori, avrebbe portato benefici in tutte le case contribuendo a diffondere i miglioramenti alimentari. Iodice affronta anche il tema dei controlli sulle posizioni monopolistiche di retroguardia rappresentate dagli industriali del ghiaccio, effettuati attraverso una immaginaria “Autorità Garante del Ghiaccio” che opera al di fuori del controllo della Magistratura.

Racconta Iodice: “La FAIG (Associazione di produttori di ghiaccio) convince il Congresso a creare una “Autorità Garante per il Ghiaccio”. Una sorta di tribunale senza troppi vincoli, i cui membri sono nominati dal Congresso stesso, che detta le regole, giudica i colpevoli ed emette le sentenze. Molti sostengono sia incostituzionale, ma il Congresso va avanti lo stesso. “Se vuoi puoi ricorrere al giudice contro le decisioni dell’Autorità”, dicono. Decisioni però che sono immediatamente operative. E se non hai i soldi, certo non potrai appellarti contro le sentenze dell’“A-Gi-Ghi”.

Lo strumento preferito per giungere a questa tutela sommaria è il weblocking, ovvero il blocco dei contenuti o dei siti internet attraverso i Provider.

[1]             FROSINI, Il diritto Costituzionale di accesso ad Internet, in Rivista di Associazione dei Costituzionalisti, n 1, 2011, si consenta il rinvio a F. Sarzana di S. Ippolito, Diritto di accesso alla rete ed alla libera espressione nella Carta dei diritti di internet e nella Giurisprudenza costituzionale, NOVA- Il sole 24 ore:

Diritto di accesso alla rete ed alla libertà d’espressione nella Carta dei diritti di internet e nella Giurisprudenza costituzionale.

[2]  Lawrence LESSIG, Free Culture: The Nature and Future of Creativity, Paperback – Deckle Edge, February 22, 2005. Mike MASNICK, Chris DODD: Rewrites Hollywood’s History To Pretend That It Came About Because Of IP Laws https://www.techdirt.com/articles/20120503/04032118755/chris-dodd-rewrites-hollywoods-history-to-pretend-that-it-came-about-because-ip-laws.shtml

Cory Doctorow, Chris Dodd’s imaginary topsy-turvy history of Hollywood

[3]  L’Iniziativa ha lasciato perplessi molti commentatori oltreoceano e in Europa, si veda M. MASNICK Italy Attempting To Have Copyright Enforced By Regulators, Not Courts

        https://www.techdirt.com/articles/20131121/23374025331/italy-attempting-to-have-copyright-enforced-regulators-not-courts.shtml

Italy: Administrative copyright enforcement unconstitutional?

https://edri.org/italy-admin-copyright-enforcement-unconstitutional/

[4]  G. IODICE , http://ubutile.blogspot.it/2011/06/lindustria-del-ghiaccio-che-sciolse.html

[5]  Bruce Perens, http://www.askmar.com/Open%20Source/Bruce%20Perens.pdf

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