C’è un’Italia che non fa notizia, (o ne fa poca) ma connette tutto: strade, case, centrali elettriche, fabbriche. Nel 2024 il mercato dell’Internet of Things (IoT), o Internet delle cose, ha sfiorato i 9,7 miliardi di euro, con una crescita del 9% rispetto all’anno precedente e 155 milioni di oggetti connessi attivi, per una media di 2,6 dispositivi per abitante.
A certificarlo è l’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, che con il suo ultimo report fotografa un ecosistema in rapida espansione, dove a dominare sono le smart car (1,66 miliardi), seguite dalle soluzioni intelligenti per la gestione delle utility (1,59 miliardi) e dagli smart building (1,37 miliardi), sempre più efficienti e interattivi. Per la prima volta, anche smart factory e smart city superano la soglia simbolica del miliardo, mentre la smart home arriva a quota 900 milioni di euro, spinta soprattutto dal comparto sicurezza.
Buoni risultati anche per la smart logistics (825 milioni), mentre arretra lo smart fFarming (-4%), penalizzato dal taglio agli incentivi. L’impressione è quella di una rete capillare che cresce senza sosta; eppure, secondo i ricercatori, il potenziale è ancora ampiamente da sviluppare. Vediamo le novità dai diversi settori..
Smart Home e Industrial IoT: due volti ella stessa rivoluzione
Nel 2019 erano appena il 42%. Oggi, secondo l’Osservatorio IoT del Politecnico di Milano, quasi sei italiani su dieci dichiarano di avere almeno un oggetto connesso tra le mura domestiche. È un salto culturale prima ancora che tecnologico: la Smart Home non è più il vezzo di qualche appassionato, ma una componente strutturale delle nuove abitudini digitali. Si parte da telecamere e sensori antintrusione, si passa per termostati intelligenti, elettrodomestici che “parlano” tra loro, impianti vocali integrati. Il focus non è solo sulla comodità, ma anche sull’ottimizzazione dei consumi: spegnere le luci a distanza, regolare il riscaldamento in base alla presenza in casa, controllare i carichi per evitare sprechi, tutto questo ha un impatto diretto sulle bollette, e non a caso l’interesse per le tecnologie smart cresce proprio nei momenti di maggiore incertezza energetica.
Ma mentre nelle case il cambiamento è visibile, nelle imprese si gioca una partita parallela e forse ancora più decisiva: quella dell’Industrial IoT. Oggi il 80% delle grandi aziende manifatturiere italiane ha attivato almeno un progetto di fabbrica intelligente. Parliamo di linee produttive monitorate in tempo reale, algoritmi che prevedono i guasti prima che si verifichino, robotica connessa e gestione centralizzata dei flussi. È l’automazione che incontra l’intelligenza dei dati. Eppure, questa trasformazione non procede alla stessa velocità ovunque. Il Piano Transizione 5.0, pensato per accelerare il salto di qualità del tessuto industriale, rimane in parte al palo: solo una grande impresa su due e una media su tre lo ha effettivamente adottato. Il problema? Procedure complesse, scarsa conoscenza dei vantaggi concreti, e una percezione ancora confusa degli strumenti disponibili. Una parte dei fondi inizialmente stanziati – ben 3 miliardi di euro – è stata già riallocata, segno che il sistema fatica a ingranare. Il rischio è che il treno passi e non tutti riescano a salirci.
Intelligenza artificiale e comfort domestico: chi guida davvero il cambiamento?
Chi pensa che l’Intelligenza Artificiale sia ancora roba da laboratorio non ha guardato bene dentro casa propria. Termostati che imparano le abitudini, luci che si adattano all’umore, elettrodomestici che ottimizzano i consumi: l’integrazione tra IoT e AI è già realtà, almeno in potenza. Ma tra intenzione e adozione resta un fossato: se oltre la metà delle grandi imprese italiane che hanno attivato progetti IoT è già al lavoro per includere anche l’intelligenza artificiale, nel settore consumer l’entusiasmo è molto più cauto. Solo un quarto degli utenti si dice interessato a soluzioni che combinino i due mondi, con differenze generazionali nette: i millennial sono tre volte più favorevoli dei boomer, segno che il cambiamento parte, come spesso accade, dal basso e dai giovani.
C’è anche un altro ostacolo, l’incertezza su come scegliere e valutare i dispositivi. Con l’aumento dell’offerta e la moltiplicazione delle funzionalità, distinguere tra hype e utilità concreta diventa sempre più difficile. E qui entrano in gioco gli strumenti digitali a supporto delle decisioni di acquisto: oltre a confrontare prestazioni e caratteristiche tecniche, oggi è possibile anche calcolare il risparmio potenziale che un oggetto connesso può generare nel tempo, specie in termini di consumo energetico. In questo senso, un comparatore online come SOStariffe.it può rivelarsi utile non solo per scegliere il miglior contratto luce o gas, ma anche per comprendere l’impatto reale delle tecnologie smart sulle spese domestiche; perché l’innovazione non è solo questione di chip, ma anche di buon senso economico.
Dati dappertutto, ma pochi li usano davvero
Sensori che registrano, dispositivi che monitorano, sistemi che accumulano informazioni ventiquattro ore su ventiquattro: l’Internet of Things è una gigantesca macchina produttrice di dati. Eppure, secondo l’Osservatorio, meno della metà delle grandi aziende italiane sfrutta davvero le informazioni raccolte. Il resto si limita ad accumularle, magari a conservarle in forma grezza, senza però trasformarle in decisioni operative, insight strategici o nuovi servizi. Un paradosso, se si pensa che proprio la valorizzazione dei dati è ciò che distingue l’uso “smart” della tecnologia da una semplice digitalizzazione passiva.
Il nodo non è tecnico: oggi esistono strumenti sofisticati per analisi predittive, manutenzione preventiva, gestione energetica, controllo di qualità e automazione di processo. Il punto è culturale, prima ancora che organizzativo. In molti casi manca una figura interna capace di interpretare i dati e restituirli sotto forma di valore aggiunto. In altri, ci si scontra con “silos” informativi, sistemi non integrati, o una governance debole del patrimonio informativo. Eppure i margini sono enormi: secondo alcune stime, un utilizzo strutturato dei dati IoT potrebbe migliorare l’efficienza operativa delle imprese del 15-20%. ma perché ciò accada serve un cambio di paradigma, che non riguarda solo le tecnologie ma anche le competenze. L’Italia ha le infrastrutture, ha i dispositivi, ha le connessioni: ora deve imparare a fare parlare i dati.
Tecnologie emergenti e reti invisibili: l’IoT guarda oltre il 5G
Dietro l’espansione dell’Internet of Things non c’è solo una domanda crescente, ma anche un’evoluzione costante delle tecnologie di rete che ne rendono possibile la diffusione. A fine 2024, in Italia, si contano 7,8 milioni di connessioni LPWA (Low Power Wide Area), in crescita vertiginosa del 95% rispetto all’anno precedente. Queste soluzioni, che sono pensate per dispositivi che devono trasmettere piccoli pacchetti di dati, consumando pochissima energia, stanno diventando la spina dorsale silenziosa dello smart metering, della logistica intelligente, della gestione da remoto di asset industriali. E non sono che una parte della torta: le connessioni IoT su rete cellulare, più robuste e adatte ad applicazioni complesse, valgono ancora il 41% del mercato, pur crescendo più lentamente (+3% nel 2024). In parallelo, avanzano le tecnologie su reti non cellulari, come WiFi evoluto, ZigBee, Bluetooth Low Energy e le sempre più affidabili soluzioni a 169 MHz.
Ma è il 5G a rappresentare la frontiera più ambiziosa. Con l’arrivo della Release 18 e il lavoro in corso sulla Release 19, che dovrebbe essere completata entro la fine del 2025, si pongono le basi per il 5G Advanced e per la futura transizione al 6G. Aumenta anche il numero di componenti con supporto nativo al 5G nei dispositivi consumer e industriali, mentre le applicazioni NB-IoT su 5G iniziano a trovare spazio reale in ambiti come smart metering, asset management e logistica. Un ruolo chiave sarà giocato dalle reti non terrestri: i collegamenti satellitari a bassa latenza che promettono copertura globale, anche in aree remote, montane o rurali, oggi tagliate fuori dalle infrastrutture tradizionali. Le prospettive sono chiare, e parlno di connettività ovunque, gestione on-demand dei segnali, algoritmi di AI per ottimizzare il traffico e ridurre i consumi. L’obiettivo non è solo una rete più veloce, ma una rete più intelligente, più efficiente, più sostenibile. L’IoT del futuro sarà così: invisibile, ma indispensabile.