Forse alcuni diranno che l’influencer marketing non goda di ottima salute. Fake influencers, fake accounts che invadono i nostri profili, compravendita di interazioni, il problema mai risolto delle sponsorizzazioni e della conseguente normativa sul gettito fiscale sono solo alcune delle questioni che hanno tenuto banco nell’ultimo periodo, e che danno l’idea di un mercato che rischia di sgonfiarsi.
Molte aziende cercano di proteggersi adottando strategie innovative, ma allo stesso tempo conservative. A riguardo, un trend che nell’ultimo periodo è letteralmente esploso, ma che già viveva e prosperava sottotraccia, è quello dedicato ai nano-influencer.
Chi sono i nano-influencer
Questi sono i meno seguiti fra gli influencer; possono vantare tra i 1000 e i 10000 followers. Il loro pubblico, per la maggior parte immune dal rischio di fake followers, è molto verticale negli interessi e garantisce volumi di engagement, in percentuale, molto maggiori rispetto ai colleghi più famosi. I loro profili, infatti, hanno altissimi tassi di coinvolgimento, che secondo un recente sondaggio di Digiday, arriverebbero fino all’8,7% del pubblico che li segue, di gran lunga maggiore rispetto a quell’1,7% delle celebrità da oltre un milione di follower.
Fra nano-influencers e aziende difficilmente il rapporto è definibile come lavorativo; si potrebbe chiamare, forse più correttamente, “collaborazione a sorpresa”, con grande gioia di tutti i soggetti coinvolti. Infatti, il loro successo è anche dovuto al fatto che costano poco; molte volte basta l’omaggio di un prodotto, o l’invito ad un evento, per far parlare in maniera entusiasta del brand.
Quali sono i vantaggi di una collaborazione
Dati alla mano, è il modo migliore per parlare alla Generazione Z, data la scarsa fiducia che questa nutre nell’advertising tradizionale. Inoltre, si tratta del modo più efficace per acquisire brand evangelist a costi contenuti e con la possibilità di andare a colpire platee di migliaia di persone, con messaggi caratterizzati da sincerità e spontaneità, attributi oggi essenziali per il pubblico.
È interessante portare ad esempio la case study di un brand che ha messo in luce per primo il fenomeno dei nano-influencer: Daniel Wellington.
Questo marchio di orologeria nato nel 2011, è il caso più eclatante di influencer marketing sviluppato “dal basso”. Sin dall’inizio del suo progetto, Filip Tysander ha portato avanti una strategia di influencer marketing molto aggressiva. A causa del budget ridotto, per sponsorizzare i propri prodotti ha deciso di affidarsi a Facebook e al neo-nato Instagram; utilizzando centinaia di nano-influencer in tutto il mondo, con costi molto bassi e una copertura capillare, in poco tempo è diventato l’esempio da seguire.
Molti altri piccoli brand, come HappySocks, Sperry o Audible, hanno seguito la stessa strategia e sono cresciuti esponenzialmente; ma la novità di oggi è che anche i grandi marchi hanno scoperto il potere di conversione della categoria e, sempre più spesso, si affidano ai nano-influencer per le proprie campagne social.
Quale può essere il futuro dell’influencer marketing?
La tendenza di rivolgersi a platee sempre più piccole e verticali è una naturale evoluzione del marketing, il cui sogno mai nascosto è arrivare, un giorno, alla comunicazione one to one tra brand e pubblico.
Le ultime notizie che arrivano dalla galassia Facebook, con Messenger e Whatsapp pronti a diventare strumenti utili alle aziende, non fanno che confermare questa tendenza. La diminuzione dei costi di un marketing gestito dall’intelligenza artificiale, empatico perchè personalizzato sul singolo utente, permetterà ad ognuno di noi di godere dei privilegi di un rapporto diretto con i brand che amiamo. Perchè un rapporto paritario è win-win.