“I dati sono il nuovo petrolio”. L’analogia ha i suoi limiti, ma colpisce un punto. Qualunque sia il prodotto o servizio digitale che si sta costruendo oggi, alla fine si affida ai dati. Come un’azienda può effettivamente utilizzare i dati per creare valore? Di quali funzionalità ha bisogno? Quale tecnologia? Dove dovrebbe iniziare? Ciò è spesso la parte più difficile. Un’azienda ha bisogno di tecnologia e ha bisogno di sapere come raccogliere i dati e analizzarli, tale attività possono essere progressivamente modificate fino ad esternalizzarle con relativa facilità.
La chiave è iniziare con un chiaro obiettivo aziendale, una chiara visione di ciò che l’azienda vuole raggiungere. Questo aspetto è il primo di quattro domini a cui si deve pensare quando si creano funzionalità di analisi dei dati. Il secondo è l’utilizzo dei dati. Come si traduce l’obiettivo in casi d’uso tangibili? Il terzo dominio da affrontare è il motore di dati. Di quali funzionalità ha bisogno un’azienda per implementare questi casi d’uso? E, ultimo ma non meno importante, un’azienda deve prendere in considerazione il suo ecosistema di dati completo. Chi al di là dell’azienda stessa può supportare lo sviluppo di tali capacità?
Alcuni miti popolari associati ai quattro domini suddetti tendono a distorcere il significato dei Big Data. Il primo mito è profondamente ancorato in molte aziende: i big data sono una questione tecnologica. Negli ultimi anni molti investimenti in piattaforme tecnologiche quali Hadoop o Data Lake di centinaia di milioni, sono andati perduti a causa dell’assenza di un obiettivo aziendale preciso. Di conseguenza, la visione di un’organizzazione sui dati e sull’analisi non deve essere quella di ottenere la più recente tecnologia disponibile. Al contrario, la visione sui dati e sull’analisi deve essere allineata con l’obiettivo aziendale, con il risultato che il business si prefigge di raggiungere.
Esistono miti radicati nel dominio dell’utilizzo dei dati. Il primo è il mito dell’istinto. Questo è uno degli ostacoli culturali all’utilizzo dei dati come strumento decisionale. I leader aziendali possano avere una forte intuizione o essere figure visionarie nei loro mercati; sebbene, gestire tutti i dipartimenti e prendere tutte le decisioni basate sull’intuizione può condurre a affrontare rischi non gestiti. Per creare i casi d’uso appropriati per l’utilizzo dei dati, è necessario innanzitutto promuovere una cultura basata sui dati, limitando gli aspetti istintivi
Il secondo mito relativo all’utilizzo dei dati è presente nelle grandi aziende, nelle startup e nei media: la privacy dei dati è un problema per la vecchia generazione. La privacy è in realtà un problema chiave per tutte le generazioni. E non è perché un adolescente sia più a suo agio a pubblicare foto su Instagram, che non sia interessato a sapere come vengano utilizzate quelle foto. Nel complesso, le aziende che vogliono raccogliere e utilizzare i dati dei propri clienti, dovrebbero proteggersi dagli abusi, indipendentemente da quale generazione.
Si consideri il dominio del motore dei dati, delle soluzioni tecnologiche, della raccolta dei dati e del collegamento ai processi aziendali, il mito è quello della sostituzione tecnologica. Le piattaforme come Hadoop sono diventate così alla moda che si è iniziato a pensare che sostituiranno tutte le infrastrutture esistenti. Hadoop o Data Lakes non sostituiranno i data warehouse, poiché questi ultimi sono ancora efficaci per i dati strutturati in cui non è necessaria l’elaborazione parallela. Ciò che è importante è il compromesso tra le funzionalità di cui si necessità e il costo che si è disposti a pagare.
Un altro mito in tale dominio è relativo alla pretesa affermazione per cui solo avendo dati dei clienti finali si possa generare valore. I big data hanno numerose applicazioni, come l’ottimizzazione degli acquisti, la manutenzione predittiva, le ottimizzazioni logistiche da cui è possibile estrarre valore.
Esiste un ultimo mito sul motore di dati: non appena si vede il valore dei dati e dell’analisi, il cambiamento accadrà. Sebbene la prova del valore sia una componente critica, non è sufficiente per far sì che il cambiamento avvenga. La chiave per realizzare il cambiamento durevole è che l’analisi dei dati non avvenga in silos, dovrebbe essere incorporata nelle operazioni aziendali quotidiane.
Sul quarto dominio, l’ecosistema di dati, esistono altri due miti. Il primo riguarda la tendenza a fidarsi solo di ciò che è fatto in casa. La convinzione che un’azienda dovrebbe fare tutto da sola. La verità è che è molto più efficiente fare affidamento su un ecosistema di dati più ampio sia per gli scambi di dati che per il supporto analitico.
L’ultimo mito registra che sia difficile condividere apertamente i dati oltre i confini aziendali. Sebbene non sia completamente un mito, non ancora almeno. È difficile creare il giusto framework di relazioni che consenta una condivisione dei dati trasparente. Open Data è stato promosso da molte istituzioni governative con la finalità di perseguire modelli nuovi ed utili. Se i dati fanno parte del vantaggio competitivo di un’azienda, è molto difficile raggiungere la piena apertura. Le aziende disposte a condividere reciprocamente i dati, di solito riescono a aggirare questo ostacolo creando, ad esempio, joint venture. Ci sono anche alcune iniziative per costruire mercati di dati, piattaforme per facilitare la scoperta e lo scambio di fonti di dati tra attori del settore.
Un’azienda deve iniziare il suo viaggio nei Big Data con una visione chiara e strettamente legata alle sue priorità aziendali. La visione deve tradursi in casi d’uso tangibili, che possono servire come prova convincente del valore. Le aziende non dovrebbero sentirsi obbligate a fare tutto internamente, dovrebbero collaborare con il loro ecosistema per arricchire sia le fonti di dati e sia le capacità di analisi.