I ricavi di Huawei nel primo semestre del 2020 crescono a doppia cifra del 13,1% nonostante l’atteggiamento quanto meno ostile degli Usa e la crisi dovuta alla pandemia. Il tutto mentre proprio oggi il primo ministro britannico Boris Johnson ha deciso il bando di Huawei dal 5G nel Regno Unito, ma si è dato ben 7 anni di tempo per rimuovere completamente la presenza dell’azienda di Pechino. La decisione finale era molto attesa a Washington ed è un affronto anche diplomatico che a Londra costerà i buoni rapporti con Pechino.
Il pressing di Trump
Ma il pressing di Trump su Boris Johnson è stato troppo forte e lo ha costretto a rimangiarsi l’accordo siglato a gennaio che per motivi di sicurezza nazionale garantiva un ruolo limitato a Huawei sul 5G, con un tetto del 35% su tutte le apparecchiature per le nuove reti.
Nel frattempo, i rapporti fra Londra e Pechino si sono deteriorati a causa degli scontri a Hong Kong e soprattutto dell’esplosione del coronavirus, che non pochi imputano proprio ai mancati controlli da parte della Cina.
Rimozione totale entro il 2027
La decisione finale è stata comunicata dal ministro per il Digitale, la Cultura, i Media e lo Sport Oliver Dowden, dopo una riunione del National Security Council (NSC), presieduto da Johnson, che si tiene questa mattina.
Dowden, ha annunciato in Parlamento che a partire dal primo gennaio prossimo sarà proibito acquistare nuova tecnologia 5G da Huawei, ma i cinesi saranno definitivamente rimossi solo entro la fine del 2027. In dettaglio, tutte le componenti ancora attive fornite da Huawei alle reti britanniche (a cominciare dal 4G) negli ultimi 15 anni andranno rimosse “entro il 2027”.
La scusa ufficiale di Londra per l’inversione a u sul coinvolgimento di Huawei nel rollout del 5G inglese sono le nuove sanzioni americane sulle tecnologie e i chip che secondo Londra penalizzeranno la capacità di Huawei di mantenere la sua affidabilità come fornitore.
Le reazioni di Huawei al bando Uk
Huawei ha chiesto subito al governo britannico di rivedere il bando sulle forniture di tecnologie 5G, affermando che si tratta di una decisione dettata più dal pressing di Washington piuttosto che da preoccupazioni per la sicurezza.
Il portavoce britannico dell’azienda cinese Ed Brewster ha definito la mossa “deludente”, aggiungendo che “Sfortunatamente, il nostro futuro nel Regno Unito è diventato politicizzato, si tratta di politiche commerciali americane e non di sicurezza”.
L’estensione del bando in Uk
Huawei e i suoi clienti britannici, fra cui BT, Vodafone e Three, stanno aspettando di verificare l’estensione del nuovo bando e la velocità con cui sarà implementato, con perdite stimate in centinaia di milioni di sterline.
Il Ceo di BT Philip Jansen ha detto ieri che l’azienda avrà bisogno di almeno cinque anni, ma in realtà ce ne vorrebbero quanto meno sette, per rimuovere le tecnologie del produttore cinese dalle sue reti. Il rischio, se la richiesta sarà quella di rimuovere le tecnologie di Huawei in tempi strettissimi, è quello di un black out del servizio per 24 milioni di clienti di BT, ha detto Jensen.
10 anni per smantellare tutte le reti britanniche
Il bando esteso non soltanto alle reti 5G ma a tutte le reti mobili e fisse, comprese quelle legacy, implicherà un tempo di almeno 10 anni per concludere questa operazione di rimozione forzata, secondo BT. Vodafone dal canto suo ha reso noto che rimuovere le tecnologie di Huawei potrebbe costare miliardi di sterline (single figure).
Huawei dal canto suo ha sempre smentito le accuse e ha chiesto inutilmente al Governo britannico di aspettare.
Pechino suo ha ribadito che il bando di un suo campione nazionale avrà delle gravi conseguenze. Trattare la Cina come un paese ostile non passerà certo sotto traccia, ha detto l’ambasciatore cinese a Londra.
Quadro mutato da gennaio
Il problema vero, secondo Londra, è che il contesto internazionale è completamente cambiato negli ultimi mesi e che a pesare, come detto in precedenza, sono le nuove sanzioni americane sui chip.
Nel contempo, il gruppo cinese ha comunicato ieri ricavi nel primo semestre in aumento del 13,1% a 64,90 miliardi di dollari, un rallentamento del 10% rispetto allo stesso periodo del 2019, dopo un anno difficile dovuto da un lato al pressing da parte degli Usa e dall’altro dalla crisi innescata dal Covid-19, che pesa sui conti di tutta l’economia globale.
In lieve aumento anche il margine di utile netto, che si è attestato a, 9,2% in confronto all’8,7% del medesimo periodo dell’anno precedente.
E in Europa?
La decisione di Londra su Huawei arriva mentre altri paesi europei sono alle prese con lo stesso dilemma: compiacere l’alleato americano o seguire una politica di sviluppo economico autonoma? E’ questa seconda strada che sta perseguendo la Germania di Angela Merkel, dove Deutsche Telekom, lungi dal ridimensionare i rapporti con Huawei, li ha da poco rafforzati. Il governo tedesco dovrebbe decidere su Huawei a settembre.
Fatto sta che qualunque sarà la decisione di Londra, essa avrà “un impatto simbolico” sulla posizione di Huawei in Europa secondo gli analisti di Canalys, secondo cui la speranza dell’azienda cinese al momento è che i paesi europei rimandino il più possibile la decisione finale in attesa che passino le elezioni americane.
In Italia, Tim ha escluso Huawei dalla gara per la rete core 5G in Italia e Brasile. Il Governo ha recentemente esercitato il golden power su tecnologie Huawei di Tim e Wind Tre. In Francia, il bando completo delle tecnologie cinesi è stato escluso però c’è in atto un giro di vite sulla loro adozione per le nuove reti.
Il mese scorso Singapore ha scelto Nokia ed Ericsson al posto di Huawei per la sua rete 5G.
Quadro globale
La campagna contro Huawei è partita nel 2018 in Australia. Da allora, alcuni alleati degli Usa fra cui Canada, Giappone e Nuova Zelanda hanno escluso Huawei dal 5G. La maggior parte dei governi europei non ha aderito al ban.
Gli economisti del National Institute of Economic and Social Research (NIESR) hanno messo in guardia il governo: l’esclusione di Huawei potrebbe avere gravi conseguenze sull’economia nazionale, con il Pil in calo dello 0,75% e l’inflazione in crescita dello 0,6% se i rapporti commerciali con Pechino venissero compromessi a causa del ban. L’import export potrebbe calare addirittura del 90% in caso di un bando completo delle tecnologie cinesi.