Microsoft non si è ancora espressa ufficialmente, ma ha iniziato a lasciare degli indizi: ha rimosso dallo store il MateBook X Pro, il laptop di punta di Huawei, tra l’altromolto venduto negli Usa, e non produce risultati anche la ricerca di altri dispositivi della società cinese. Cosa significa? Che l’azienda fondata da Bill Gates sta per far scattare il bando, dopo Google e le aziende Usa produttrici di chip e microchip – da Intel a Qualcomm, da Xilinx a Broadcom? Staremo a vedere. Come attendono di sapere milioni di consumatori, che nel mondo hanno acquistato smartphone e dispositivi Huawei, quale sarà il futuro dei loro device? “Gireranno” ancora su Android oppure Huawei, secondo rumors, sta sviluppando il suo sistema operativo?
Sarebbe “pronto al più presto in autunno o al massimo entro la prossima primavera”, ha detto l’amministratore delegato della società della divisione consumer, Yu Chengdong, spiegando che il sistema operativo di Huawei sarà disponibile per smartphone, computer, tablet, televisori, automobili e dispositivi indossabili intelligenti.
“HongMeng OS”, questo il nome secondo indiscrezioni di stampa, a cui Huawei starebbe lavorando almeno dal 2012: il piano B ad Android. Ma un sistema operativo per avere successo ha bisogno di rodaggio e di tempo: se è vero che Huawei è per Google un grosso cliente, che “ha contribuito alla crescita smisurata di Android e agli incassi dell’azienda californiana”, è altrettanto vero che senza Android forse Huawei non sarebbe il secondo produttore di smartphone al mondo. Nel medio periodo, se l’azienda cinese non fornisse una proposta a grande impatto e capace di fronteggiare il sistema operativo di Google, probabilmente la maggior parte dei suoi clienti si affiderebbe a device di altri marchi, pur di rimanere fedeli ad Android. Per questo motivo è più praticabile trovare un accordo con Google nei prossimi 90 giorni di sospensione del ban, la notizia è stata per i mercati e i titoli tech una boccata d’ossigeno.
L’obiettivo di un accordo con Google è stato confermato da Anya Nikoloska Zelenkov, responsabile marketing e comunicazione Honor Italia, ieri, in occasione della presentazione dei nuovi smartphone Honor 20 e 20, il second bran di Huawei. “La nostra intenzione, anche a lungo termine è di continuare a lavorare su Android”, ha dichiarato ad AGI Zelenkov, ridimensionato anche le voci secondo cui Huawei avrebbe accelerato lo sviluppo di un sistema operativo proprietario. “Non abbiamo dato alcuna accelerazione: nelle nostre intenzioni non c’è di sostituire Android”. Zelenkov ha ribadito che gli aggiornamenti del sistema operativo e l’App Store con le applicazioni di Google resteranno disponibili per tutti gli smartphone e i tablet Huawei e Honor già in circolazione e in stock, inclusi quelli della serie 20. “Non ci sarà alcun problema» ha detto, «gli eventuali ritardi nei rilasci delle patch di sicurezza dipenderanno dal mercato di riferimento e non dalla non disponibilità di Google”.
E ancora: “Siamo di fronte a un confronto di carattere politico prima che commerciale” ha concluso Zelenkov. E questo è chiaro a tutti. La scalata della Cina per la supremazia mondiale nel settore tecnologico è veloce, per questo Trump ha accelerato l’attacco a Huawei. L’ha messo in evidenza anche Romano Prodi: “Huawei è una impresa arrivata a 70 miliardi di fatturato in pochissimi anni. I tempi sono stati accelerati perché Trump vuole tenere il sistema contro la Cina, con conseguenze sulla crescita e sull’economia mondiale”.
Prodi, infine, ha posto l’attenzione sul vero tema di scontro tra Cina e Usa, il 5G: “Huawei improvvisamente sembra in grado di produrre il 5G con più velocità rispetto ad altri concorrenti. Trump ha deciso di ucciderla. È già troppo grande o è ancora in tempo? È un interrogativo politico. La grande forza di Trump”, ha concluso, “è che tutta l’opinione pubblica americana ritiene la Cina un avversario”.
Ma l’opinione pubblica non è in grado di valutare i danni del ban nei confronti degli Stati Uniti stessi.Ingenti saranno, infatti, i danni collaterali per l’industria delle tlc americane, chiamata a sostituire tutti gli apparati Huawei. Per esempio, in Europa, secondo Deutsche Telecom, almeno un terzo delle infrastrutture di tlc sono realizzate con apparecchiature Huawei: “sostituirle potrebbe costare miliardi oltre a ritardare di almeno 18 mesi il passaggio al 5G”.
Un dato importante che ci fa capire la serenità del fondatore di Huawei, Ren Zhengfei, che ai media locali avrebbe consegnato una velata minaccia: “Lo staff politico americano, nel suo modo di fare le cose attualmente, mostra di sottostimare la nostra forza. Il 5G di Huawei non sarà assolutamente colpito. In termini di tecnologie 5G, gli altri non saranno in grado di raggiungerci se non in due o tre anni”, ha concluso.