L’hate speech, il discorso d’odio, è sempre più diffuso online. Le recenti ingiurie al presidente della Repubblica, durante la formazione del nuovo governo, sono soltanto la punta dell’iceberg di un fenomeno che interroga, in primo luogo, i comunicatori di professione. Qui non abbiamo la pretesa di sostituirci a sociologi e psicologi, ma di dare un contributo alla riflessione comune. Oggi è la volta di Acli, Fisc e Gslg, associazioni da sempre in prima linea nella difesa della libertà e del pluralismo.
“La parola odio è per sé stessa antitetica ad ogni valore. A maggior ragione lo è per le Acli che da sempre si battono per favorire solidarietà ed inclusione”. L’odio online, sottolinea il presidente Roberto Rossini, “è un fenomeno strettamente legato alla codardia, perché spesso si cela dietro l’anonimato e riproduce – sempre nella rete – un ‘effetto branco’ che rende tutto lecito, tutto possibile. Ed amplifica gli effetti delle espressioni odiose. Si tratta di una condotta anti-etica ed anti-giuridica”.
Il recente episodio dei “vergognosi epiteti rivolti al presidente Mattarella ne è soltanto l’apice: occorre – osserva il presidente delle Acli – agire a tutti i livelli, anche introducendo innovazioni normative per colpire i responsabili. E coinvolgendo tutte le agenzie educative per spiegare ai giovani che l’odio genera odio sia sul web che nella vita reale”.
“In questo contesto comunicativo rischiamo di perdere il senso del peso che hanno le parole, del male che si può fare con ciò che si dice e si scrive. In particolare quanta devastazione è in grado di provocare la violenza che si scatena attraverso messaggi digitali di vario genere”, dichiara don Adriano Bianchi, presidente della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici).
“Assistiamo con rammarico al gusto perverso di vedere l’altro soffrire, allo sdoganamento dell’infamia, alla cinica soddisfazione del mettere in risalto la fragilità e la debolezza altrui. ‘Infierire’ sembra diventata, per alcuni, la parola d’ordine”. Ma, evidenzia don Bianchi, “occorre decisamente contrastare questa pericolosa linea di tendenza. Occorre educare, offrendo però anzitutto come adulti un esempio chiaro, quello della rinuncia ferma ad ogni forma di violenza verbale, scritta o digitale e l’assunzione di uno stile di vero dialogo e confronto. È ciò che continuamente cerchiamo di perseguire anche attraverso un’informazione puntuale e precisa col lavoro delle redazioni dei settimanali cattolici italiani in ogni territorio del nostro Paese”.
Per Domenico Volpi (presidente onorario del Gruppo di servizio per la letteratura giovanile) “l’odio sparso dai social, oltre la ovvia ampiezza di diffusione tra persone di diverse capacità di autonomia mentale, ha un effetto: uccide anche il rimorso. Chi commette per risentimento un danno o un fatto di sangue ne vede gli effetti di persona, gli occhi e le sofferenze della vittima restano impressi e ne può prendere coscienza nel tempo che segue. Chi sparge odio dai social non ne vede le vittime e spesso ne allarga l’eco su un’altra categoria (razza, ceto, difetti…) senza vederne gli effetti immediati. Il cuore è assente, i social sono gelidi”.
“Qualora invece fosse consapevole di tutte le conseguenze anche nel futuro – conclude Volpi –, posso solo volgere a lui i versi carducciani: ‘Cerchiato ha il senno di fredda tenebra, e a lui nel reo cuore germoglia, torpida, la selva di barbarie’”.