Transizione energetica, contrasto alle anomalie climatiche, promozione delle fonti energetiche pulite, decarbonizzazione dell’economia, questi i grandi temi al centro del “World Energy Outlook 2019” presentato a Roma dal Direttore esecutivo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, Fatih Birol, che ha illustrato lo scenario attuale e le possibili evoluzioni nei prossimi anni in base a ciò che saremo in grado di fare o di non fare.
In termini generali, la domanda mondiale di energia è ancora largamente soddisfatta da fonti fossili (31% petrolio, 27% carbone e 23% gas). Guardando alla sola generazione elettrica, le principali fonti sono: carbone (38%), gas (23%) e idroelettrico (16%). L’eolico rappresenta il 5% e solare fotovoltaico il 2%. In tale contesto, tra le maggiori incertezze emergono: la sostanziale stabilità del mercato petrolifero, nonostante le incertezze geopolitiche, la necessità di ridurre le emissioni pur a fronte di un trend della CO2 che continua a crescere (nel 2018 massimo storico), la necessità di fornire accesso universale all’energia a fronte di 850mln di persone che ancora oggi vivono senza elettricità.
Il problema è che se continuiamo così, cioè a non fare niente o troppo poco, avremo una domanda energetica che crescerà dell’1.3% l’anno, da qui al 2040, mentre le emissioni di diossido di carbonio (CO2) aumenteranno di un quarto.
Oltre al Direttore dell’Agenzia, hanno partecipato all’evento Emma Marcegaglia, Presidente Eni, e Claudio Descalzi, amministratore delegato Eni. Le conclusioni sono state affidate a Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio dei Ministri. Nel suo intervento, Conte ha ricordato che “questo Governo ha assunto l’impegno ad agire per un’economia competitiva, moderna, climaticamente neutra entro il 2050”.
“Vogliamo far sistema con investimenti pubblici e con investimenti privati, vogliamo ridurre le emissioni concretamente, incrementare concretamente l’uso dell’energia rinnovabile ancor più, favorire lo sviluppo di un’economia circolare, di un’economia verde”, ha spiegato il Premier.
“Nella manovra economica abbiamo previsto 7 miliardi di euro di risorse aggiuntive nel prossimo triennio oltre ai 3 miliardi già previsti per il Green New Deal”, ha sostenuto Conte, che ha specificato essere “risorse, che, in una prospettiva di tempo più ampia, cresceranno fino a raggiungere la cospicua, ragguardevole somma di 59 miliardi nell’arco di 15 anni”, a cui poi andranno aggiunti “anche gli investimenti privati, quindi avremo una dotazione finanziaria seria, credibile, cospicua per pratiche e prassi eco-sostenibili”.
Sul Piano Nazionale Integrato per l’energia e il Clima (PNIEC), Conte ha precisato che “è tra i più ambiziosi, lo posso dire senza falsa modestia, anche in relazione agli obiettivi per il 2030 su cinque fondamentali dimensioni: decarbonizzazione, efficienza energetica, sicurezza energetica, mercato interno dell’energia, ricerca, innovazione e competitività”.
Sono numeri rilevanti, considerando il momento non proprio felice che sta attraversando l’Unione europea, soprattutto in termini di instabilità politica, di insicurezza economica e di turbolenze geopolitiche, a cui va ovviamente aggiunta, come fattore stabile di crisi, l’emergenza climatica.
Le domande senza risposta rimangono, però, tutte sul tavolo, perchè il nostro Governo ha stanziato dei fondi che sembrano non essere sufficienti ad affrontare la sfida delle anomalie climatiche, già in corso ed attese peggiorare per la metà del secolo.
A riguardo, l’Italia rischia di avere perdite di alcuni punti percentuali di Pil già a metà secolo e fino al 10% di Pil nella seconda metà del secolo, pari circa 130 miliardi di euro l’anno.
Sono dati presentati poco più di un mese fa a Roma, contenuti nella Relazione 2019 sullo stato della green economy, in occasione degli Stati Generali della Green Economy, promossi dal Consiglio Nazionale della Green Economy, in collaborazione con il ministero dell’Ambiente e con il patrocinio del Ministero dello Sviluppo Economico e della Commissione Europea, con un ulteriore documento dedicato agli ‘Impatti economici dei cambiamenti climatici in Italia’, realizzato dall’European Institute on Economics and the Environment, in collaborazione con la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e Italy4Climate.
Un documento che ha illustrato trend a dir poco drammatici per il sistema Paese a cui Conte si appella. Le proiezioni contenute nello studio, infatti, evidenziano una dicotomia Nord-Sud in cui le regioni meridionali e le isole maggiori potrebbero perdere attorno al 5-15% di Pil nel 2050 e attorno al 5-25% nel 2080, ma anche al Nord si registreranno spiccate perdite nelle aree del veneziano. Si nota anche, seppur meno marcata, una dicotomia tra aree adriatiche e tirreniche, con le prime meno impattate delle seconde.
Una criticità sistemica che si ripercuote anche e soprattutto su scala geografica, si legge ancora nell’Outlook dell’Iea, perchè la situazione appare complessa e di difficile gestione, con le economie emergenti che ridefiniranno l’andamento dei flussi energetici, la Cina che rimarrà il primo consumatore in tutti gli scenari e l’India che sarà la regione con la maggior crescita della domanda energetica. L’80% del commercio petrolifero internazionale nel 2040 sarà destinato all’Asia, in parte dovuto al raddoppio delle importazioni in India. In tale area rimarrà comunque aperta la sfida tra carbone, gas naturale e rinnovabili, per fornire elettricità e calore alle economie emergenti asiatiche. La domanda energetica crescerà anche in Africa per effetto di una rapida crescita della popolazione che entro il 2040 supererà oltre 2 miliardi (aumentando di oltre 600 mln solo nelle città).