Le città a basso impatto ambientale potrebbero rivelarsi un valido modello di crescita economica, vantaggioso anche in termini di pianificazione urbana, di recupero di aree dismesse e contaminate, di diffusione di giardini condivisi e orti urbani, di riduzione dei consumi energetici delle aree edificate e di promozione della mobilità dolce (pedonale e ciclabile).
È grazie a questo tipo di sviluppo urbano che è possibile lanciare progetti per strade che favoriscano la mobilità dolce. In un solo anno, tra il 2010 e il 2011, la quota di spostamenti in bicicletta in Italia è passata dallo 0,4% al 4%. Per favorire la soft mobility si deve partire dalla stessa progettazione delle strade, che devono diventare uno spazio più equo, che favorisca la convivenza di auto (che comunque dovranno essere sempre meno), pedoni e biciclette, come accade in molte importanti città europee, tra cui: Copenaghen, Berna, Basilea, Trondheim, Oslo, Berlino, Barcellona, Amsterdam.
Oggi è stato diffuso online l’ebook “Caring for our soil – Avere cura della natura dei territori”, il Report 2017 del WWF, che parte da una constatazione semplice quanto amara: “se oltre alla espansione urbana consideriamo le infrastrutture, scopriamo che la quota di territorio che si può considerare completamente artificializzato nel nostro Paese sale dal 7% al 10%”.
Risultato di un processo di investimenti prevalentemente orientato alla realizzazione di strade e autostrade che ha favorito la diffusione di una peculiare patologia nazionale: “la polverizzazione dell’edificato, a bassa densità, in aree molto vaste (sprinkling), facilitata dallo squilibrio in favore della mobilità su gomma (l’Italia è seconda solo al Lussemburgo nella classifica europea della motorizzazione privata: con 608 veicoli per 1000 abitanti)”.
Alla stesura del volume hanno contribuito 27 tra docenti universitari (Camerino, Firenze, L’Aquila, Roma Tre, Tuscia), esperti di Istituti di Ricerca (ISPRA e ISTAT) e rappresentanti delle Istituzioni (come la Commissione Europea). Il Report offre analisi e proposte originali utili alla comprensione delle dinamiche del consumo di suolo in atto e per governare lo sviluppo delle aree urbanizzate, garantendo nel contempo, la tutela e la resilienza del patrimonio naturale e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Per contrastare il consumo di suolo selvaggio, fondamentale è puntare sull’autosufficienza energetica. È fondamentale contenere il consumo di energia e le emissioni di gas serra nelle aree urbane, e per far questo si devono realizzare insediamenti a tendenziale autosufficienza energetica, con impronta energetica vicino allo zero o addirittura negativa, “che favoriscano lo sviluppo di politiche integrate di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici, contrastando la dispersione insediativa e limitando la dispersione termica e i consumi di energia”.
Secondo dati Istat, dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi, si è avuta in Italia una repentina riduzione delle superfici agricole, di circa 10 milioni di ettari, “a causa dei mutamenti socioeconomici legati in particolare allo sviluppo della urbanizzazione”. Solo negli ultimi 10 anni nel nostro Paese abbiamo perso quasi 1.5 milioni ettari di superficie agricola utilizzata (SAU), superficie che oggi ammonta complessivamente a 12.885.000 ettari, e anche questo è un dato inequivocabile del consumo di suolo selvaggio che si è avuto in Italia senza che nessuno intervenisse con soluzioni idonee alla gravità del fenomeno.