Key4biz

Green bond: emissione CDP da 750 milioni per l’Agenda 2030. Opportunità e rischi della finanza verde

Lo scorso venerdì un fiume di esseri umani ha attraversato le principali città del mondo. Milioni di donne e uomini, soprattutto giovani e studenti, hanno marciato per la difesa del pianeta Terra, per la difesa dell’ambiente, per chiedere ai Governi e le Istituzioni nazionali e sovranazionali di agire rapidamente per contenere i fenomeni atmosferici più violenti e il surriscaldamento globale, cercando di limitare, per quanto possibile, i danni economici e sociali legati ai cambiamenti climatici in corso.

In attesa di capire se la manifestazione oceanica di venerdì scorso, il #FridaysForFuture, sia l’inizio di qualcosa di più grande o semplicemente un evento social di dimensioni globali (un classico della società dei consumi) buono per far selfie, c’è da riflettere comunque sulla dimensione dei concetti espressi dalle piazze.

Dimensione ambientale certamente, sociale, culturale, politica, ma anche economica e finanziaria.

I concetti di base sono tutti concentrati in quell’Agenda 2030 su cui un po’ tutti facciamo riferimento e poniamo speranze: un grande programma d’azione calibrato su 17 obiettivi generali per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, o SDG), per un totale di 169 ‘target’ o traguardi, come la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame, certamente il contrasto al cambiamento climatico, l’inclusione sociale, la giustizia sociale, i diritti civili, la questione femminile in particolare (che alla base di quasi tutti gli altri in molti Paesi del mondo) per citarne solo alcuni.

Dimensione finanziaria, abbiamo detto, che si manifesta in diverse forme, tra cui i green bond: “le obbligazioni destinate a finanziare iniziative a basso impatto ambientale e di contrasto al cambiamento climatico”.

In sintesi, per green bond si intendono strumenti finanziari e risorse finanziarie a disposizione di progetti ed attività imprenditoriali, spesso a livello di startup, rivolte alla cosiddetta green economy e con caratteristiche di sostenibilità ambientale, come il trattamento dell’acqua e dei rifiuti, iniziative legate alla prevenzione e controllo dell’inquinamento, infrastrutture per i trasporti, tra cui le ferrovie centrali eoliche e più in generale iniziative legate all’utilizzo sostenibile dell’acqua o all’edilizia eco-compatibile, per citare qualche esempio.

Cassa Depositi e Prestiti (CDP)ha fatto sapere ieri sera di aver lanciato sul mercato dei capitali un nuovo social bond, anzi, un Green, Social and Sustainability Bond Framework del valore nominale di 750 milioni di euro.

Questa nuova operazione, si legge nel comunicato che accompagna il lancio, “conferma la volontà di CDP di ampliare le forme di raccolta dedicate ad attività con un positivo impatto sociale ed ambientale”.

In linea con quanto annunciato nel Piano Industriale 2019 – 2021, CDP ha per la prima volta espresso un’attenzione strategica sui temi legati alla sostenibilità, decidendo di ri-orientare il proprio modello d’intervento sulle dimensioni dello sviluppo sostenibile ed in particolare quelle definite all’interno del framework dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite”.

L’emissione obbligazionaria social, fanno sapere dalla sede romana di Via Goito, si ispira in particolare agli SDG 4 e 11: “Istruzione di qualità” e “Città e comunità sostenibili”.

La crescita del mercato dei green bond, e la sua relativa sostenibilità, si legge in una pagina web dedicata all’argomento della Borsa Italiana, è dovuta principalmente a due fattori: da una parte l’ingresso nel mercato delle obbligazioni green da parte delle grandi imprese dei paesi emergenti (in particolare Cina ed India), che nel 2016 ha generato emissioni per 30 miliardi di dollari, dall’altra la crescente attenzione delle istituzioni sovranazionali al tema della sostenibilità ambientale.

Ma questa finanza verde fa davvero bene al pianeta? È uno strumento realmente utile o si rischia di “ingrassare” fondi di investimento senza ottenere niente di concreto in termini di difesa dell’ambiente e di qualità della vita?

Come spiegato in un articolo di valori.it, nei primi otto mesi del 2018, evidenziano i dati diffusi dal Wall Street Journal, l’ente britannico Climate Bonds Initiative (CBI) ha passato al setaccio emissioni obbligazionarie per oltre 120 miliardi di dollari bocciandone quasi un quarto (28,2 miliardi): “Una quota significativa dei titoli in esame è risultato incompatibile con i principi basilari di tutela dell’ambiente”.

Secondo gli economisti Suk Hyun del Korea Capital Market Institute, Donghyun Park e Shu Tian (Asian Development Bank), “la carenza di standard globali sulla definizione dei green bond avrebbe un impatto negativo non solo sul fronte ambientale ma anche su quello strettamente finanziario”. 

Una questione di regole, insomma, che non è proprio di second’ordine.

Senza standard globali e linee guida da tutti riconosciute (al momento si hanno quelle elaborate dall’International Capital Market Association), accade che a sguazzare sono i predatori più grandi, mentre gli investitori, per non farsi sbranare, per “non esporsi ai pericoli di un’asimmetria informativa rispetto a chi colloca i bond”, esitano, restano a guardare, attendono, con la probabilità molto elevata per noi di veder sfumare occasioni di finanziamento di attività realmente utili per il sociale e l’ambiente.

Il rischio, sostanzialmente, è doppio: da un lato potremmo ritrovarci investiti da una grande bolla green, un’immensa rete di attività speculative che non porta a nessun risultato concreto per la salute del pianeta e fa arricchire i soliti noti (gruppi bancari, elite finanziarie, giganti del web, gruppi industriali, gruppi di pressione o lobby di varia natura); dall’altro potremmo ritrovarci con obbligazioni verdi che, invece di finanziare attività a sfondo ambientale, vanno esattamente nella direzione opposta, cioè a sostegno dell’industria del carbone o quella dell’estrattiva di altre risorse naturali fossili, come petrolio e gas naturale, altamente climalteranti.

Exit mobile version