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Great resignation: negli USA 4,4 milioni di persone hanno lasciato il lavoro, il 70% sente ostile la transizione digitale. L’indagine

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Un numero crescente di persone ha deciso di lasciare volontariamente il proprio posto di lavoro. Questo fenomeno piuttosto particolare è stato chiamato negli Stati Uniti “Great resignation” (o Grandi dimissioni) e riguarda ormai tutto il mondo, Italia compresa. La nuova indagine di Adobe sul mercato del lavoro americano.

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La Great resignation americana, perché si abbandona il posto di lavoro?

Un numero crescente di persone ha deciso di lasciare volontariamente il proprio posto di lavoro. Questo fenomeno piuttosto particolare è stato chiamato “Great resignation” (o Grandi dimissioni) negli Stati Uniti e riguarda ormai tutto il mondo, Italia compresa.

Dall’estate del 2021 si moltiplicano i casi di dimissioni: secondo un recente studio McKinsey, condotto su 6.000 persone tra Australia, Canada, Singapore, Regno Unito e Stati Uniti, il 40% dei lavoratori di tutto il pianeta si è detto intenzionato a cambiare posto di lavoro entro i prossimi 6 mesi.

Dallo stesso studio è emerso che il 36% di chi ha lasciato il proprio posto di lavoro non ne ha ancora trovato uno nuovo.

Non è un dato esclusivamente congiunturale, cioè legato all’impatto drammatico della pandemia di Covid-19. Più probabile forse il risultato di diversi fattori concomitanti, dal virus certamente agli effetti psicologici, sociali ed economici dei lockdown, dall’irruzione delle tecnologie digitali nella nostra vita ad ogni livello fino alle insoddisfazioni personali, le cattive condizioni di lavoro e i salari insufficienti.

Secondo l’ultimo sondaggio Adobe, dal titolo “Future of Time, sul mercato del lavoro negli Stati Uniti, a febbraio c’erano 11,3 milioni di posti di lavoro vacanti, mentre 4,4 milioni di lavoratori hanno lasciato volontariamente la propria occupazione.

Tecnologia digitale percepita come ostile

Lo studio, che ha coinvolto 1.400 lavoratori americani, ha confermato che sono diverse le cause della Great resignation, tra cui le tecnologie digitali, che sono percepite come ostili, perché richiedono più competenze, sono causa di problemi tecnici continui che richiedono molto tempo, fino a 5 ore di media ogni settimana, mentre anche i datori di lavoro sono considerati dai dipendenti stessi non all’altezza della sfida tecnologica della transizione in corso.

Nel 50% dei casi i lavoratori hanno affermato che gli stessi manager non avevano le giuste competenze digitali, fatto che aggravava ulteriormente i problemi legati alla tecnologia sul posto di lavoro, perché rallentava lo svolgimento delle mansioni.

In caso di amministratori delegati o direttori generali esperti di tecnologia o con competenze elevate il problema sembra comunque presente, perché fonte di disturbo continuo per il lavoratore chiamato più volte al giorno ad interagire con il management attraverso piattaforme online o software, soprattutto in caso di telelavoro (ma anche in ufficio).

Dall’indagine è risultato che quasi il 70% dei dipendenti insoddisfatti e in procinto di dimettersi ha chiamato in causa la transizione digitale come motivo principale dei problemi, dalla necessità di fare formazione ai problemi tecnici di connessione in WiFi dei tanti device elettronici di uso comune, anche sul posto di lavoro, fino all’utilizzo dei tanti software in dotazione all’azienda”, ha spiegato Todd Gerber, vicepresidente Adobe Document cloud.

Gli italiani mollano il lavoro: i 10 motivi alla base delle dimissioni di 2 milioni di persone

Secondo stime riportate dal Sole 24 Ore, in Italia quasi 2 milioni di persone hanno abbandonato il proprio posto di lavoro nel 2021, il 33% in più rispetto al 2020 e il 12% in più rispetto al 2019. Un fenomeno quindi che sta diventando tendenza.

Il 56,4% delle dimissioni è avvenuto al Nord, il 23,7% al Sud e il 19,9% al Centro, mentre colpisce l’incidenza tra i lavoratori con titoli di istruzione bassa: ben il 54% dei lavoratori che hanno presentato le dimissioni nei primi nove mesi del 2021 ha un titolo di studio inferiore al diploma superiore; solo il 14,5% ha una laurea mentre il 31,1% un diploma di istruzione superiore”, si legge nell’articolo pubblicato dal quotidiano economico-finanzario.

I motivi sono diversi anche da noi: mancanza di riconoscimento delle proprie competenze (assenza di meritocrazia); mansioni poco interessanti e stimolanti; valori aziendali in contrasto con quelli personali; salari troppo bassi o non in linea con le proprie aspettative; il troppo tempo da dedicare al lavoro, sottratto alla vita privata e agli affetti; scarse opportunità di crescita; voglia di specializzarsi; l’atmosfera poco accogliente sul posto di lavoro; l’impatto del telelavoro e delle tecnologie digitali; il bisogno di cambiare posto di lavoro per fare nuove esperienze.

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