l'analisi

Governance d’impresa ed equilibrio strategico. Il Governo vuole mettere mano alle regole di Governance cambiando il TUF. Cosa si rischia?

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Questo fenomeno è da osservare con estrema attenzione soprattutto per evitare rischi di burocratizzazione, di lentezza decisionale, di scarsa partecipazione al voto nelle assemblee nel rispetto e valorizzazione anche della rappresentanza di genere.

La Governance d’impresa è il cuore e la mente dell’impresa, il suo nocciolo duro e profondo, il motore della sua visione, il timone della sua direzione e la scocca del purpose identitario per guidare una navigazione nel mare aperto dell’efficienza e della concorrenza.

Quindi quando tocchiamo i suoi meccanismi e architetture dobbiamo farlo con equilibrio e saggezza senza troppi sconvolgimenti. A ben guardare, soprattutto per le aziende quotate (o non quotate ma di una certa dimensione o medie), il punto essenziale è l’equilibrio della rappresentanza tra maggioranza e minoranza.

Un “criterio (quasi) politico-democratico” (anche se spesso viziato da eccessi “cesaristi”), potremmo dire, che perimetra le regole di Governance con le quali si forma il Governo presente e di medio-lungo termine delle aziende e la loro struttura imponendo peraltro (cfr. Art.123-bis del TUF delle quotate aggiornato nel 2023) la corretta e continua divulgazione delle informazioni sulle stesse per disporre di un “cruscotto trasparente” di gestione e rapporto con azionisti, creditori e stakeholder, oltre che con gli investitori e i talenti da attrarre.

Da una parte, una maggioranza (per il controllo di direzione della navigazione), dall’altra una minoranza (di garanzia e verifica degli obiettivi e della correttezza della gestione) e che con la quota dei consiglieri indipendenti (che assicurano la terzietà come stimolo o leva per possibili alternative strategiche di innovazione e adattamento e sulle compatibilità organizzative e di “buona gestione”) devono essere integrate, solide, bilanciate e coese.

Assicurando in questo modo un rapporto dialogico e dialettico tra queste tre parti che – seppure distinte nei ruoli e rimanendo coese – non deve mai venire meno per non mettere a rischio equilibri patrimoniali e reddituali, gestionali e strategici dell’oggi e di domani oltre alla continuità operativa tra presente e futuro, ossia la sua solida e riconoscibile sostenibilità secondo criteri ESG e lungo linee di CSR traguardando nel cannocchiale dei 17 SDGs di United Nation.

Perché in questo modo si salda il capitale reputazionale con quello semantico e sociale innestando certezze sul rientro degli investimenti e abbassando il rischio. Dunque che il Governo voglia mettere mano alle regole di Governance cambiando il TUF (entro un anno dall’ approvazione della Legge Capitali) e in particolare della rappresentanza della compagine societaria è da osservare con estrema attenzione soprattutto per evitare rischi di burocratizzazione, di lentezza decisionale, di scarsa partecipazione al voto nelle assemblee nel rispetto e valorizzazione anche della rappresentanza di genere.

E’ ciò che si rischia in base alle regole che il Governo vorrebbe darsi per ritoccare le forme di elezione delle “liste per i CdA” che ne appesantirebbero e irrigidirebbero il funzionamento che deve invece rimanere fluido, snello e focalizzato. Invece, si vorrebbe una “strana e macchinosa” procedura per l’elezione dei consiglieri del board attraverso la” lista del CdA uscente, il voto maggiorato, assemblee a porte chiuse e fusioni con società non quotate”.

Nel complesso riducendo il grado di trasparenza informativa e il potere delle minoranze nei CdA e nelle Assemblee societarie. Dal 2005 l’Italia si è dotata di un “voto di lista” per le quotate con opzione di poter presentare gruppi differenziati di azionisti per rappresentare meglio i soci di minoranza e che così come è “funziona bene” come sostengono i grandi investment fund e dunque non va complicata con procedure barocche di nomina dei consiglieri. Evitando di limitare le opzioni di nomina dei candidati, di disincentivare la partecipazione di investitori “non informati e/o non esperti” e che delegano la partecipazione assembleare a propri fiduciari.

Il principio chiave che andrebbe salvaguardato è un insieme di procedure semplici e chiare per accogliere i suggerimenti di tutti gli azionisti sui potenziali consiglieri senza ulteriori modalità complesse che non aggiungono benefici nè agli azionisti, né alle aziende, né ai mercati. Dunque, la doppia votazione dei consiglieri della lista dei CdA in due diverse assemblee e la proporzionalità del metodo sono da ritenere inutilmente laboriosi senza vantaggi sostanziali. Inoltre, viene correttamente fatta rilevare dai fondi la sostanziale incompatibilità tra “assemblee chiuse” e nuovo voto strutturato in due fasi che introdurrebbe limitazioni inefficienti alla selezione dei potenziali candidati consiglieri.

I tempi sono stretti tra entrata in vigore della “Legge Capitali” (L.5 marzo 2024, n. 21 ) con eventuali modifiche al TUF che scatterebbe a fine anno e accoglimento nel frattempo dei regolamenti Consob in via di elaborazione. Successivamente, le imprese che riterranno di fare uso delle “liste CdA” dovrebbero poi modificare lo Statuto per il recepimento delle norme. Tempi stretti per modifiche “laboriose” che introducono “farraginosità e inefficacia” per scarsità di trasparenza e partecipazione assembleare.

Forse molto meglio “lasciare le bocce ferme” e la Governance ne guadagnerà e con questa i mercati che beneficiano dell’equilibrio dinamico tra maggioranze e minoranze della rappresentanza nei CdA. Per esempio, agendo sulle logiche di listing/delisting e dei loro effetti sui prezzi delle azioni, come mostrano vicende recenti di Piazza Affari dove le minoranze si sono opposte con successo a delisting troppo “scontati” e in generale per una considerevole quota del 30% di tutte le operazioni.

Mostrando che una “buona governance” fa bene ai mercati oltre che agli azionisti (compresi gli sleepy shareholders). Le minoranze in questi casi sono state in grado di pressare al meglio tra innalzamento del prezzo (preferito) o abbassamento del quorum delle adesioni, dunque bloccando il delisting. Minoranze che hanno dunque fatto da “barriera o filtro” a operazioni di delisting troppo sbrigative e poco trasparenti come nei casi domestici dell’OPA su Unieuro e Alkemy, ma anche a livello globale come nel caso di colossi della stazza di Alimentation couch-tard nell’offerta per Seven&I-Holdings che controlla 7-eleven.

Casi dove i rilanci delle minoranze hanno fatto bene sia alle condizioni di remain che a quelle di exit e dunque a quelle dei mercati nel loro complesso. Perciò un loro indebolimento sarebbe da ritenere altamente sub-ottimale, economicamente e socialmente e per questo al Governo si richiede cautela.

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