Nel 2012 il governo americano ha ordinato a Google, con tre mandati di sequestro separati, di fornire tutti i dati email e i contatti personali di tre giornalisti chiave nell’organizzazione di Wikileaks: Josep Farrell, Sarah Harrison e Kristinn Hrafnsson.
Questa informazione è stata data da Google a Wikileaks soltanto alla vigilia di Natale, con quasi tre anni di ritardo, con la conferma dell’avvenuta trasmissione al Governo Usa dei dati richiesti, che riguardano email, contatti, indirizzi IP, numeri di conto bancario dei tre giornalisti.
La richiesta dei mandati di sequestro fa parte di un’indagine segreta in collaborazione con FBI e CIA, condotta dal procuratore John F. Anderson della Corte dell’Eastern District of Virginia. I capi d’accusa rivolti ai tre giornalisti e a Wikileakes sono pesanti: si parla di spionaggio, cospirazione per commettere spionaggio, violazione del Computer Fraud and Abuse Act e appropriazione indebita di materiale governativo .
Stamattina, Michael Ratner e Carey Shenkman – i legali di Wikileaks nonché membri dell’organizzazione ‘Centre for Constitutional Rights’ – hanno inviato una mail (wikileaks-letter-to-google) al presidente esecutivo di Google, Eric Schmidth confermando di essere “stupiti e disturbati dal fatto che Google abbia atteso più di due anni per notificare l’accaduto a dei suoi utenti, privandoli così della possibilità di difendere e proteggere il loro diritto alla privacy, al rilascio d’informazioni e libertà da ricerche illegali”.
Stando a quanto fa sapere Wikileaks, dal momento in cui gli era stato richiesto la trasmissione dei dati da parte del Governo, Google era vincolato al segreto. Questo spiegherebbe il ritardo nel comunicare il rilascio dei documenti.
Ad ogni modo, la compagnia di Mountain View non ha specificato quali documenti e informazioni abbia rilasciato ad aprile 2012 –termine ultimo concesso dal mandato federale alla compagnia per la comunicazione richiesta – ma ha fatto sapere che in caso di mandato o ingiunzione del tribunale, la prassi prevede semplicemente il controllo dei termini legali. La richiesta in questione, si difende Google, sussisteva ai sensi del Electronic Communications Privacy Act del 1986 e all’Espionage Act del 1917.
Non è la prima volta che il dipartimento di giustizia americano richiede la consegna di dati personali a social media. Qualche anno prima, Birgitta Jonsdottir – parlamentare Islandese ed ex volontaria di Wikileaks – che faceva parte del team che pubblicò il video dell’elicottero Apache, fu contattata da Twitter, dopo che il governo americano aveva richiesto al social di microblogging di consegnare tutte le sue conversazioni, messaggi e dati sensibili.
Il fatto fece scandalo nel 2011, anche perché la decisione di Twitter di renderla nota a Birgitta Jonsdottir fu in contro tendenza rispetto alla prassi comune dei rapporti fra social media e autorità Usa. E consentì a Jonsdottir di difendersi per vie legali dall’appropriazione di dati e informazioni strettamente legate alla sua privacy. Nel luglio 2012, però, la corte federale della Virginia si pronunciò contro il ricorso della parlamentare islandese e quello di altri due colleghi coinvolti, permettendo al dipartimento di giustizia di mantenere segrete le informazioni riguardanti le richieste di dati sensibili ottenute senza mandato. Una sonora sconfitta per la lotta alla garanzia della privacy.
Da quel momento in poi, la maggior parte delle compagnie tech rendono note le richieste riguardanti la richiesta di dati personali avanzate dalle autorità Usa.
Ma il caso tra Google e Wikileaks è la prova che la situazione non è cambiata. E le persone che rischiano di rimetterci sono i cittadini con i loro dati personali, email, conti correnti e informazioni ‘apparentemente’ sicure.
La questione della sicurezza e privacy, della protezione dei dati sensibili continua quindi a essere un problema reale e una questione delicata che, se vogliamo continuare ad essere una società inter-connessa, non possiamo più ignorare.